Fin dall’inizio del conflitto in Ucraina la diplomazia vaticana si è mobilitata per fermare la guerra e riportare la pace. Nella sua storia la Santa Sede si è fatta promotrice di un ordine internazionale fondato sul diritto e la giustizia, indicando i diritti dell’uomo e i diritti dei popoli come i fondamenti della pace. L’alimentazione, la salute, la cultura, la solidarietà sono le condizioni necessarie affinché i cittadini si sentano coinvolti, con responsabilità, in un progetto di società che offra delle possibilità ad ogni individuo.
E’ importante che si affermi nelle coscienze una visione dell’uomo che tenga in debito conto tutte le sue dimensioni: il rispetto della vita umana dal momento del suo concepimento alla sua fine naturale, la sua dignità, la sua libertà, senza dimenticare il diritto alla libertà di religione. La pace è anche il risultato del rispetto degli strumenti tecnici propri della collaborazione internazionale. La Santa Sede ha fiducia nel diritto internazionale per garantire la libertà delle persone e dei popoli. Il rispetto degli impegni assunti, secondo l’adagio antico “pacta sunt servanda”, la fedeltà ai testi elaborati, spesso al prezzo di grandi sacrifici, la priorità accordata al dialogo, sono ugualmente dei mezzi che dovrebbero permettere, sia a livello bilaterale che a livello multilaterale, di evitare, nella misura del possibile, ai più deboli di essere le vittime della volontà malvagia, della forza o della manipolazione dei più forti. Bisogna porre in rilievo, poi, un contributo, spesso sconosciuto, dato dalla Santa Sede alla pace, ossia il suo apporto alla redazione delle convenzioni o delle dichiarazioni internazionali.
Penso, ad esempio, alla nozione giuridica di “assistenza umanitaria”, promossa dalla Santa Sede in occasione del conflitto in Iugoslavia. Gli Stati hanno il diritto, anzi il dovere, di intervenire per disarmare chi vuole uccidere, non già per incoraggiare la guerra, ma per impedirla. Mi riferisco anche alla posizione della Santa Sede sugli effetti negativi della pratica, non controllata a livello internazionale, dell’embargo contro uno Stato che non rispetta il codice di condotta internazionale. L’embargo, limitato nel tempo, deve essere proporzionato a ciò che si desidera correggere e non per far precipitare la popolazione nella miseria. La Santa Sede offre, così, il proprio contributo affinché nella redazione dei documenti del diritto internazionale, spesso orientati ideologicamente, siano salvaguardati i grandi principi morali e l’apporto del diritto internazionale classico. La via diplomatica è l’unica che può fermare le armi. Il dialogo è sempre possibile e indispensabile. Beati, quindi, i costruttori di ponti perché alzare muri impedisce alla pace di prevalere. Non stanchiamoci, perciò, di combattere contro l’egoismo e l’odio che ci isolano dagli altri e ci rendono schiavi.
Ciò che caratterizza, quindi, l’azione della Santa Sede in favore della pace è il servizio della coscienza. Per un cristiano, e a maggior ragione per il Papa, è nel cuore dell’uomo che nascono la pace o la guerra, ed è a questo uomo, il quale deve scegliere tra il bene e il male, che la Chiesa ha il dovere di rivolgersi. Essa lo accompagna sul cammino della vita indicandogli la giusta direzione. Essa interpella la sua libertà e la sua responsabilità. È a questa profondità che si costruisce la pace, e ovviamente lì si inserisce, per noi credenti, la preghiera. Papa Francesco ha invitato tutti i cattolici a dedicare la preghiera e il digiuno alla causa della pace in Ucraina.