La testimonianza di pace di Francesco e ciò che della pace ci insegna la “ripugnante e insensata” guerra in Ucraina. Più volte vari capi di Stato e leader politici che Jorge Mario Bergoglio ha potuto incontrare dopo la sua elezione a vescovo di Roma gli hanno parlato di pace. Hanno detto: i leader religiosi devono aiutare. Dare indicazioni etiche. Il ragionamento di Francesco è da guida morale del pianeta. Il pastore può fare i suoi richiami. Ma, come ricordava Benedetto XVI nell’enciclica “Caritas in Veritate“, servono uomini e donne con le braccia alzate verso Dio per pregarlo. Consapevoli che l’amore e la condivisione da cui deriva l’autentico sviluppo, non sono un prodotto delle nostre mani. Ma un dono da chiedere. E al tempo
stesso Jorge Mario Bergoglio si è sempre detto convinto che ci sia bisogno che questi uomini e queste donne si impegnino ad ogni livello. Nella società. Nella politica. Nelle istituzioni. Nell’economia. Mettendo al centro il bene comune.
Dunque non si può più aspettare a risolvere le cause strutturali della povertà, per guarire le società da una malattia che può solo portare verso nuove crisi. I mercati e la speculazione finanziaria non possono godere di un’autonomia assoluta. Senza una soluzione ai problemi dei poveri non risolveremo i problemi del mondo. In questa ottica il Pontefice invoca programmi, meccanismi e processi orientati a una migliore distribuzione delle risorse. Alla creazione di lavoro. Alla promozione integrale di chi è escluso. Intanto, però, le parole forti e profetiche di Pio XI nell’enciclica “Quadragesimo Anno” contro l’imperialismo internazionale del denaro, oggi suonano per molti, anche cattolici, eccessive e radicali. “Pio XI sembra esagerato a coloro che si sentono colpiti dalle sue parole. Punti sul vivo dalle sue profetiche denunce”, osserva Francesco.“Ma Pio XI non era esagerato- sostiene Jorge Mario Bergoglio-. Aveva detto la verità dopo la crisi economico-finanziaria del 1929. E da buonalpinista vedeva le cose come stavano. Sapeva guardare lontano. Temo che gli esagerati siano piuttosto coloro che ancora oggi si sentono chiamati in causa dai richiami di Pio XI”. Restano tuttora valide le pagine della “Populorum Progressio“. Nelle quali si dice che la proprietà privata non è un diritto assoluto. Ma è subordinata al bene comune. E quelle del Catechismo di San Pio X che elenca i peccati che gridano vendetta
al cospetto di Dio. Tra questi l’opprimere i poveri. E il defraudare della giusta mercede gli operai. “Non solo sono affermazioni ancora valide. Ma più il tempo passa e più trovo che siano comprovate dall’esperienza“, sottolinea Jorge Mario Bergoglio. I poveri sono “carne di Cristo“. Prima che arrivasse Francesco d’Assisi c’erano i “pauperisti”. Nel Medio Evo ci sono state molte correnti pauperistiche. Il pauperismo è una caricatura del Vangelo e della stessa povertà. Invece san Francesco ci ha aiutato a scoprire il legame profondo tra la povertà e il cammino evangelico. Gesù afferma che non si possono servire due padroni, Dio e la ricchezza. Ciò non è pauperismo. Gesù ci dice qual è il “protocollo” sulla base del quale noi saremo giudicati. Ed è quello che leggiamo nel capitolo 25 del Vangelo di Matteo. Ossia, “ho avuto fame, ho avuto sete. Sono stato in carcere. Ero malato. Ero nudo. E mi avete aiutato. Vestito. Visitato. Vi siete presi cura di me”. Quindi ogni volta che facciamo questo a un nostro fratello, lo facciamo a Gesù. Avere cura del nostro prossimo. Di chi è povero. Di chi soffre nel corpo, nello spirito. Di chi è nel bisogno. Questa è la pietra di paragone. “È pauperismo? No, è Vangelo“. Infatti, secondo Jorge Mario Bergoglio, “la povertà allontana dall’idolatria, dal sentirci autosufficienti“.
Zaccheo, dopo aver incrociato lo sguardo misericordioso di Gesù, ha donato la metà dei suoi averi ai poveri. Quello del Vangelo è un messaggio rivolto a tutti. Il Vangelo non condanna i ricchi ma l’idolatria della ricchezza. Quell’idolatria che rende insensibili al grido del povero. Gesù ha detto che prima di offrire il nostro dono davanti all’altare dobbiamo riconciliarci con il nostro fratello. Per essere in pace con lui. “Credo che possiamo, per analogia, estendere questa richiesta anche all’essere in pace con questi fratelli poveri”. osserva Francesco. Non c’è pace senza giustizia, non c’è giustizia senza perdono.