Il Long Covid rappresenta per l’alto numero di soggetti che sono stati colpiti dal virus e che hanno sviluppato la malattia una condizione patologica di cui si dovrà inevitabilmente tener conto anche negli anni a venire. E invece più si diffonde il virus, meno si teme il Long Covid. E’ questo il rischioso paradosso che mette in pericolo la strategia anti-pandemia. In una settimana l’aumento dei contagi è arrivato a sfiorare il 40%. Mentre la campagna vaccinale è in pericoloso stallo. Sulla sottovalutazione degli effetti del Long Covid, In Terris ha intervistato uno degli infettivologi italiani più autorevoli a livello internazionale. “Il progressivo affinarsi delle conoscenze sulle caratteristiche cliniche della Covid-19 e sui suoi aspetti patogenetici ha permesso di identificare una strategia terapeutica. Che prevede l’impiego di una serie di farmaci a diversa attività”, sottolinea a Interris.it il professor Roberto Cauda. Direttore dell’Unità operativa complessa (Uoc) di Malattie infettive del Policlinico Gemelli. Revisore scientifico dei parametri Covid del governo. Consigliere scientifico dell’Agenzia europea del farmaco (Ema).
Il Covid non è sconfitto
“La lotta contro il Sars-Cov-2 è una partita a scacchi– avverte lo scienziato in prima linea fin dall’inizio della pandemia nel tracciamento delle varianti-. Il virus non tiene un calendario. E parlare già oggi della fine della pandemia e dell’inizio dell’endemia è azzardato. Anche se alcuni segnali ci sono. La comparsa di Omicron è stata un fatto importante. Questa variante più contagiosa ma meno aggressiva ci ha permesso di non avere gli ospedali pieni come nel 2020. Soprattutto oggi abbiamo oltre il 90% dei vaccinabili che sono immunizzati. Quindi, pur non avendo una protezione assoluta nei confronti dell’infezione, sono protetti dalla malattia grave. L’Italia ha raggiunto alcuni obiettivi che oggi ci permettono di allentare le restrizioni. E si può prevedere che in tempi brevi torneremo alla normalità“.
Strategie terapeutiche
Per quanto riguarda le terapie, precisa il direttore Uoc del Gemelli, “sono stati impiegati nei pazienti Covid-19 diversi tipi di farmaci. Cioè “quelli a potenziale attività antivirale contro SARS-CoV-2. Quelli ad attività profilattica/terapeutica contro le manifestazioni trombotiche. Quelli in grado di modulare la risposta immunitaria. Infusioni di anticorpi monoclonali in grado di bloccare il legame del virus al suo recettore espresso sulle cellule umane (ACE2). E prima di queste, infusioni di plasma di convalescenti che contenevano anticorpi neutralizzanti“. Le Agenzie regolatorie nazionali (AIFA) e internazionali (FDA, EMA) raccomandano, quando possibile, che l’impiego di questi farmaci venga attuato secondo le regole dei clinical trials. “Al fine di definire in maniera conclusiva il loro ruolo nella Covid-19. Il decorso dell’infezione si può considerare diviso in tre fasi“. puntualizza il professor Cauda.
Le tre fasi
“La fase iniziale, fase 1, si caratterizza per il legame di SARS-CoV-2 ad ACE2. E la penetrazione con replicazione del virus all’interno delle cellule dell’ospite- sottolinea l’infettivologo-. Questa fase ha come corrispettivo clinico la possibile presenza di sintomi. Quali febbre, tosse secca, astenia. Nella maggioranza dei casi il sistema immunitario dell’ospite riesce a bloccare l’infezione. E si ha un’evoluzione benigna della malattia”. Le fasi 2 e 3, invece, “si caratterizzano per un aggravamento clinico caratterizzato da dispnea. E altre manifestazioni legate alla polmonite”. Fino all’insufficienza respiratoria (“acute distress respiratory syndome”, Ards). Oltreché da un quadro di iperinfiammazione. “Il malato critico (fase finale) presenta un’invasione generalizzata del virus. Con coinvolgimento e compromissione di molti organi (‘multiple organ failure’, Mof)”, spiega il professor Cauda.
Tempi di guarigione
L’Oms, basandosi sulle casistiche osservate, ha indicato che la Covid-19 solitamente guarisce in due settimane nelle forme lievi. Richiede invece da 3 a 6 settimane nelle forme gravi. Questi tempi di guarigione possono essere comunque suscettibili di ampie variazioni. Essendo influenzati dall’età del soggetto colpito e dalla presenza di preesistenti malattie che possono aggravare il quadro clinico. E quindi ritardare la guarigione. “In generale i soggetti che hanno sofferto di una forma meno grave di malattia guariscono più velocemente (entro due settimane dall’episodio acuto) di quelli che hanno avuto forme più gravi. Per i quali è necessario un tempo più lungo (in genere 2/3 mesi)- afferma il professor Cauda-. I sintomi che persistono più a lungo e che caratterizzano il cosiddetto Long Covid sono numerosi. Ossia l’astenia, la dispnea, la tosse, il dolore toracico. E i deficit cognitivi (per esempio disturbi della memoria, difficoltà nella concentrazione ecc.), l’ageusia e l’anosmia. Ci possono anche essere sequele più gravi a livello cardiaco (miocardite con aritmie, pericardite)”.