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Guerra in Ucraina, il no della Chiesa è Vangelo di pace

Mai il futuro dell’umanità potrà essere assicurato dal terrorismo e dalla logica della guerra. La guerra non è mai una fatalità; essa è sempre una sconfitta dell’umanità. Mai la guerra può essere considerata un mezzo come un altro, da utilizzare per regolare i contenziosi fra le nazioni. I papi e i loro collaboratori, illuminati da queste convinzioni, hanno cercato, e tuttora cercano, di indicare all’umanità il cammino, segnalando le condizioni e i doveri che impone la creazione di un ordine internazionale giusto, fondandolo sul diritto naturale, sul diritto internazionale e sul Vangelo.

La Chiesa, da parte sua, interviene in tale comune impegno favorendo e promuovendo una cultura della pace, elaborando anche criteri generali per un’educazione alla pace. Di fronte all’indescrivibile tragedia del conflitto in Ucraina si può dire oggi che c’è nella Chiesa una diffusa coscienza che la guerra è un male che bisogna cercare di evitare in tutti i modi e che non la si può considerare affatto come qualcosa di inevitabile e di normale nel rapporto tra gli Stati e i popoli. Il tema della pace, drammaticamente attuale per la guerra in Ucraina e per tutte le altre guerre in corso nel mondo, spesso non dichiarate e anche poco messe in evidenza dai mass media, è un tema centrale per l’umanità ed anche per la Chiesa.

Le attuali iniziative di papa Francesco per la pace nel mondo si collocano nel solco di una valutazione sempre più critica della guerra quale strumento di soluzione delle controversie tra gli Stati che la Chiesa cattolica, principalmente attraverso il magistero del Papa, è venuta maturando lungo il Novecento. La ricerca della pace è venuta apparendo sempre più come un aspetto essenziale del dialogo della Chiesa con gli uomini del nostro tempo, un importante banco di prova della testimonianza di carità che la Chiesa ha da dare al mondo, un contenuto non secondario dello stesso annunzio cristiano. Sempre più chiaro è apparso anche il nesso tra guerra e povertà e, al contrario, tra pace e progresso. È il significato del solenne binomio: giustizia e pace.

Accettare l’esistenza oggi, nel mondo, di vaste aree di povertà endemica, significa rassegnarsi all’idea dello scoppio più o meno immediato della guerra, anche se vero che le guerre possono nascere anche dalla ricchezza, possono essere prodotte dall’esigenza di difendere ed ampliare gli spazi di un potere economico. Cominciò Benedetto XV, durante la prima guerra mondiale, col definire la guerra «inutile strage», scontentando non solo i governi delle potenze in conflitto ma anche grosse componenti della Chiesa del tempo che non comprendevano un giudizio tanto radicalmente negativo e che stroncava alla radice le giustificazioni nazionaliste che le parti in causa davano del loro impegno bellico. E fu poi il successore Pio XI, mentre l’Europa si preparava al secondo conflitto mondiale, a dichiarare tutta la sua avversione alla guerra, invocando Dio, con le parole del salmo, a disperdere coloro che vogliono la guerra. Pio XII, poi, nel 1939, alla vigilia della seconda guerra mondiale, lanciò l’appello: «Tutto è perduto con la guerra, niente è perduto con la pace».

E negli anni Sessanta pochi mesi dopo il superamento della crisi di Cuba e due anni dopo l’erezione del muro di Berlino, Giovanni XXIII pubblicò l’enciclica Pacem in terris con cui diceva forte la sua convinzione che la pace non è impossibile. La pace per Giovanni XXIII poggia idealmente su quattro colonne: la verità, la giustizia, l’amore e la libertà. Paolo VI, da parte sua, nel suo magistero insistette molto sulla pace come condizione di ogni possibilità di sviluppo. Lo sviluppo era, per lui, il nuovo nome della pace. Paolo VI che istituì il Pontificio Consiglio di Iustitia et Pax e prese l’iniziativa della Giornata mondiale della pace, all’inizio di ogni anno, a partire dall’anno 1968. Giovanni Paolo II nella scia dei suoi predecessori ha intensificato il suo impegno per la pace. I suoi discorsi al corpo diplomatico, all’inizio di ogni anno, contribuiscono ad una vera educazione sistematica alla pace.

Non vanno dimenticate le sue iniziative concrete, personali, in casi di grave crisi, come la mediazione tra Argentina e Cile la giornata mondiale di preghiera per la pace di Assisi, lo scorso anno, e la sua intensa attività in queste settimane quando ha ricevuto i maggiori esponenti del mondo politico internazionale. A queste iniziative va affiancata l’azione quotidiana dei rappresentanti pontifici della Santa Sede, meno visibili, certo, ma non meno incisivi, ispirati alla volontà del Papa. Sono i nunzi apostolici accreditati nei 174 Paesi con i quali la Santa Sede intrattiene relazioni diplomatiche. Grazie a questa presenza e a questi contatti istituzionali e quotidiani la Santa Sede ha potuto dare vita ad una vera strategia in favore della pace.

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