Le questioni emerse a seguito dell’ultima grave evoluzione che hanno assunto le vicende belliche riguardanti l’invasione russa dell’Ucraina pongono in essere molti rilievi concernenti il diritto internazionale e la fondatezza o meno, in termini prettamente giuridici, di alcune rivendicazioni ma soprattutto di concetti molto importanti quali la sovranità territoriale degli Stati nonché le relazioni tra diversi paesi in caso di risoluzione delle controversie. Interris.it ha intervistato su questi temi il professor Marco Betzu, docente ordinario di Diritto costituzionale nel Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Cagliari e autore di molteplici pubblicazioni.
L’intervista
Quali sono i principi del diritto internazionale in materia di sovranità territoriale degli Stati che, nel conflitto russo ucraino, sono stati violati?
“I principi violati sono stati numerosi. In primo luogo, appunto dell’eguaglianza sovrana degli stati che a sua volta si articola in alcuni corollari. Il primo è il principio del divieto della minaccia o dell’uso della forza, il secondo è il principio che impone l’obbligo di soluzione pacifica delle controversie. Si tratta di principi generali dell’ordinamento internazionale che regolano le relazioni tra stati e sono desumibili anche dalla Carta delle Nazioni Unite. In particolare, il principio del non uso della forza, è un principio del diritto internazionale che si dice consuetudinario, riconosciuto anche dalla Corte Internazionale di Giustizia. A me pare che, al fondo di questa controversia, vi sia il diritto dello stato ucraino di scegliere e sviluppare liberamente il proprio sistema politico nonché sociale e soprattutto il suo diritto – che è ricompreso nel concetto di sovranità – al che la Russia non ingerisca negli affari interni e negli affari esterni, in particolare per quanto riguarda l’adesione dell’Ucraina all’Unione Europea. Direi che – come ha sottolineato il Presidente del Consiglio Draghi – è un attacco alla concezione europea e internazionale dei rapporti fra stati basati su regole e diritti perché, il rispetto della sovranità democratica, è alla base di una pace duratura”.
Quali sono le normative internazionali che regolano le dispute territoriali tra i diversi stati? Cosa ci dicono in merito?
“In realtà, il diritto internazionale in generale, è un diritto che si può definire rudimentale. Si è passati nel tempo da un sistema basato sulla forza – che un tempo, almeno fino alla Prima e poi alla Seconda guerra mondiale, era ritenuto fisiologico – a un sistema di risoluzione delle controversie pacifico come imposto dall’articolo due paragrafo tre della Carta delle Nazioni Unite. Secondo questo articolo, gli stati, hanno l’obbligo di risolvere le controversie internazionali con mezzi pacifici, in maniera che, la pace e la sicurezza internazionale, non siano messe in pericolo. Le normative internazionali che regolano le dispute sono innanzitutto i mezzi pacifici di risoluzione delle controversie, tra questi hanno rilievo soprattutto i mezzi diplomatici – tra cui il principale è il mezzo del negoziato – il quale intende trovare un accordo tra gli stati quando vi sono delle controversie. Vi sono però anche i mezzi giurisdizionali, ad esempio ricordo il ricorso alla Corte Internazionale di Giustizia che l’Ucraina ha posto in essere, anche per l’adozione di misure cautelari. Tuttavia, è un sistema che può essere definito rudimentale perché è su base volontaristica e non è detto che sia efficace come gli eventi di questi giorni ci stanno dimostrando. Il diritto internazionale è un diritto primitivo, non bisogna fare l’errore di pensare che sia un sistema assimilabile a sistemi costituzionali o di relazioni internazionali all’interno di organizzazioni come l’Unione Europea, è qualcosa di diverso purtroppo”.
Il principio di autodeterminazione dei popoli ha un fondamento giuridico nelle attuali normative?
“Assolutamente, però bisogna chiarire. Il principio di autodeterminazione dei popoli è un principio di carattere generale affermato dalla Carta delle Nazioni Unite, ribadito dall’Assemblea Generale sull’indipendenza dei popoli coloniali e nella Dichiarazione dei principi sulle relazioni amichevoli fra stati. Tuttavia, in questo caso, è un principio che – dal mio punto di vista – non viene in rilievo perché, il principio di autodeterminazione dei popoli, è un principio che viene utilizzato quando il popolo all’interno di uno stato sia in contrasto con lo stato stesso e richieda un’indipendenza. È stato richiamato dalla Russia per giustificare l’eventuale aiuto al Donbass; tuttavia, in questo caso, non ci sono i presupposti per la sua applicazione e ovviamente non riguarda l’Ucraina dove, a essere messo in pericolo, non è tanto il principio di autodeterminazione del popolo ucraino ma, in primo luogo, la sovranità dello stato ucraino”.
In che modo le leggi vigenti prevedono e puniscono l’aggressione internazionale ad un altro stato sovrano intesa come mezzo contro la legittima sovranità dello stesso?
“La Dichiarazione dei principi sulle relazioni amichevoli fra stati stabilisce che, il ricorso alla minaccia o all’uso della forza, costituisce una violazione del diritto internazionale e delle Carta delle Nazioni Unite e non può mai essere utilizzato come strumento di soluzione dei problemi internazionali. La conseguenza di tale divieto è che, una guerra di aggressione, come quella operata dalla Russia, costituisce un crimine contro la pace che darebbe luogo a responsabilità in luogo al diritto internazionale. Tuttavia, il problema che in qualche modo mostra tutta la fragilità del sistema del diritto internazionale, è come far valere tale responsabilità. Soprattutto, il sistema dei poteri di veto nell’ambito del Consiglio di Sicurezza riconosciuto in favore dei membri permanenti come la Russia impedisce a tale organo di adottare le misure necessarie, tra le quali ad esempio astrattamente anche l’uso della forza armata in missioni umanitarie. Ciò però non impedisce agli altri stati di agire uti universi attraverso l’isolamento giuridico ed economico dell’aggressore e quindi, ad esempio, attraverso le sanzioni economiche che stanno ponendo in essere gli stati occidentali, fermo restando che lo stato attaccato ha diritto alla legittima difesa ma anche gli stati terzi – in caso di richiesta esplicita di quest’ultimo – possono agire con misure proporzionate. La reazione che si ha adesso è, diciamo così, decentrata, fondata appunto su sanzioni economiche ma, è sempre difficile – attraverso il diritto internazionale – soprattutto quando riguarda le violazioni messe in atto dalle grandi potenze, riuscire a sanzionare giuridicamente gli stati che hanno violato questi principi”.
Dal punto di vista prettamente giuridico come si può intraprendere una de-escalation in Ucraina? Gli accordi di Helsinki del 1972, seppur scritti in piena guerra fredda, possono essere uno strumento ancora valido?
“Non credo che gli accordi di Helsinki possano essere di alcun aiuto, nel senso che il mondo è profondamente cambiato in quanto – gli stessi – erano accordi a seguito di una conferenza che però riguardavano tutto un altro scenario, ci sono una serie di altri accordi che fondamentalmente ribadiscono gli stessi principi fissati in quelli di Helsinki. Più in generale, secondo me, non è d’aiuto di per sé il diritto internazionale che appunto è un diritto primitivo in cui ancora la forza ha un peso prevalente; direi che l’illusione di regolare le controversie internazionale esclusivamente attraverso il diritto è un’illusione tipica dei giuristi, i quali però non tengono conto della realtà di un mondo in cui le democrazie non sono la maggioranza. Come dimostrano gli studi internazionali, è possibile ottenere una de-escalation, attraverso l’applicazione della Teoria dei giochi in questo ambito, la quale fa si che, le guerre di aggressione, siano un gioco che appunto non vale la pena giocare, nel senso che – la risoluzione unilaterale delle controversie – fa ottenere persino allo stato aggressore dei risultati che sono peggiori rispetto a quelli che potrebbero essere raggiunti mediante la cooperazione. Secondo me, dal punto di vista giuridico, ci sono pochissime strade da percorrere, al di là di quelle che sono già state messe in atto dagli stati occidentali, ovvero l’Europa e gli Stati Uniti. Non ogni speranza è perduta direi, a tal proposito vorrei citare il bellissimo discorso finale di Charlie Chaplin nel film Il grande dittatore dove lo stesso difendeva le idee della pace citando il Vangelo ove scritto che il Regno di Dio è nel cuore dell’Uomo, non di un solo uomo ma di tutti gli uomini. Allora, la pressione della comunità internazionale, la quale in qualche modo può raffreddare la situazione di conflitto, sperando appunto che, nel cuore dell’uomo, si raggiunga la consapevolezza della necessità di difendere la pace, uscire dall’oscurità verso la luce e un mondo nuovo. Non è il diritto che riesce a risolvere questi problemi o a operare delle de-escalation ma sono appunto la comunità internazionale e i popoli del mondo, i quali possono spingere i loro governanti ad un raffreddamento di queste controversie”.