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I due aspetti fondamentali che evidenziano i voti a Mattarella

D’accordo, istituzionalmente parlando ha pienamente ragione Maria Elena Boschi, numero due di Italia Viva. I voti a Mattarella sono una “mancanza di rispetto” nei confronti del presidente della Repubblica che ha già fatto sapere la sua opinione. Come la pensi è noto a tutti: niente secondo mandato. Ma dietro a quei voti in libertà, sorta di appello laico al capo dello Stato affinché ci ripensi, si celano due elementi fondamentali. Da una parte c’è l’evidente rottura all’interno del centrodestra, con la leader di Fratelli d’Italia in rotta di collisione con Matteo Salvini, capo della Lega e auto indicatosi timoniere della coalizione, scatenando l’ira di Forza Italia, unica forza ad aver ben chiaro un aspetto: questo centrodestra, così com’ è messo, non ha i voti per eleggere nessuno senza accordi con altre forze.

Dall’altra c’è un centrosinistra a corrente alternata, ondivago nel procedere e timoroso nello scegliere. L’impasse sembra evidente. Del resto il Movimento 5 Stelle, con le troppe beghe interne, dettate dalla voglia dei peones di restare in sella, in parlamento invece di andare a casa, sta rappresentando un ostacolo per tutti. Forse i vertici serali e notturni potranno anche partorire un accordo, sicuramente al ribasso a questo punto, su Cassese o la Belloni, ma la politica rischia di uscire con le ossa rotte da questa tornata quirinalizia. Il gioco dei veti incrociati, l’assenza di una visione prospettica, rendono tutto così fragile, sterile, quasi umiliante per chi osserva e deve poi raccontare.

L’essenza di questi presunti leader è la loro totale assenza di peso specifico, di capacità d’interpretare un ruolo che vada al di là dei meri interessi di bottega. Quindi non stupiscono i 166 andati Mattarella ancora una volta superstar e salvagente di gente senza scialuppa, assieme alla new entry Nino Di Matteo (56 voti), lasciando il Parlamento in mezzo al guado del fiume, nel pieno dell’incertezza politica. Un guado sempre più vicino alle cascate del punto di non ritorno dell’impatto con l’opinione pubblica che, dai social ai commenti radiotelevisivi e soprattutto ai sondaggi, si mostra insofferente e caustica nei confronti dei partiti.

Invece della scelta di un candidato condiviso, nonostante la girandola di vertici, riunioni, incontri e veloci scambi di opinione fra vertici e protagonisti delle forze politiche, nel giorno del quarto scrutinio, quando la maggioranza richiesta per l’elezione del presidente della Repubblica si abbassa a 505 voti, si è ripetuto il rito delle schede bianche da parte del centrosinistra e delle astensioni del centrodestra. Astensioni per evitare eventuali concentrazioni di voti su candidati non concordati.

“Non credo ci sia proporzionalità tra il numero dei vertici e i risultati”, commenta sarcastico il ministro del Lavoro, Andrea Orlando. Tutti targati centrodestra i 433 astenuti, mentre le schede bianche rispetto ai precedenti scrutini sono precipitate a 261. Lo stallo evidente, secondo i boatos del Transatlantico, sarebbe propedeutico, però, alla possibile svolta di oggi, venerdì. Colpo di scena che potrebbe scaturire da un possibile nuovo faccia a faccia tra Matteo Salvini e Enrico Letta. Resta da capire sulla base di quale schema di gioco. Perché se rispetto al terzo scrutinio la focalizzazione dei parlamentari sull’attuale capo dello Stato è stata evidente, è altrettanto logica la traduzione del gesto: si scrive Mattarella ma si legge Mario Draghi.

Non a caso assieme a quelle di Draghi sono in rialzo le chance degli outsider, Sabino Cassese e Elisabetta Belloni, dal 2021 direttrice generale del Dis, il Dipartimento delle informazioni per la sicurezza. Mentre i 56 voti del magistrato antimafia e Consigliere del Csm, Nino Di Matteo, evidenziano un cambio di testimone con la candidatura dell’altro magistrato, Paolo Maddalena, votato fino ai giorni scorsi, dimostrandosi sovrapponibili alla candidatura Mattarella-Draghi. Cambi di candidature che segnalano come le fibrillazioni non manchino all’interno delle coalizioni: nel centrosinistra c’è il timore che una parte dei 5 Stelle strappi rispetto alla linea degli alleati, mentre si continuano a guardare con perplessità le mosse di Giuseppe Conte che, secondo una parte di dem e di M5S, starebbe portando avanti una “doppia trattativa”.

Alcuni malumori anche all’interno dei dem, con l’ipotesi Casini, che non troverebbe sponde in una larga fetta dei democratici, così come soluzioni analoghe che potrebbero mettere a repentaglio il governo e la stessa legislatura. Evidente anche la tensione Fratelli d’Italia e Lega dopo che FdI si è smarcata puntando su Guido Crosetto che ha ottenuto 114 voti quasi il doppio del “bacino” di preferenze di partito.

Il segretario della Lega, Matteo Salvini ha proposto il nome del presidente del Consiglio di Stato, Franco Frattini, ex ministro nei governi Berlusconi, che era già circolato nei primi conciliaboli tra i partiti ma che era stato poi accantonato per la contrarietà di Pd e 5 Stelle.

Secondo gli ambienti parlamentari il the day after del Quirinale si preannuncia comunque problematico tanto per Salvini quanto per Giuseppe Conte. Non a caso Salvini, fiutando l’aria, si è affrettato a far sapere che lui non è l’uomo dei no. Il timore, a questo punto, è che diventando anche l’uomo dei sì cambi poco. Perché potrà pur vincere questa battaglia, con la sponda di Letta, ma rischia di perdere la guerra con la Meloni.

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