La rosa secca subito, l’arte topiaria non è adatta a coltivare speranze nei Giardini del Quirinale. Nel giro di poche ore Pera, Moratti e Nordio sono entrati nell’agone e ne sono usciti senza che nessuno se ne rendesse conto. Nemmeno una preferenza alla terza votazione: se la loro era una candidatura, non se ne sono accorti in molti. Non diamogliene la colpa: non si poteva pretendere di più se, nel momento in cui si annunciavano i loro nomi, se ne faceva un quarto lasciando intendere che avrebbe potuto essercene anche un quinto. A quel punto la credibilità di tutta l’operazione è saltata, e si è visto il risultato.
Il momento difficile del centrodestra è testimoniato anche da un altro fatto: il misero risultato di Elisabetta Casellati. Non è arrivata nemmeno alla decina di consensi, lei che era il quarto nome, quello forte, l’asso nella manica. Insomma, la prima fase delle votazioni per il Quirinale si chiude con una sconfitta generale. Il centrodestra – innanzitutto Salvini – era partito con l’idea di poter dare le carte e invece si sta bruciando alle spalle un ponte dietro l’altro. Il centrosinistra ha giocato di rimessa, e non ha sbagliato, ma ora che avrebbe l’opportunità di prendere l’iniziativa si scopre parecchio a corto d’idee. La situazione si incarta, verrebbe da dire. Ma non è detto che sia così.
Il terzo scrutinio, infatti, ha fatto il suo mestiere, che da sempre è quello di scremare in attesa che la nebbia si diradi. Di alcuni candidati si è detto, ma è su altri nomi che conviene soffermarsi. Casini, per dire, ha preso cinquanta voti. Non son pochi, e sanno di energie accumulate in preparazione dello sprint finale. Sarebbe per lui un momento felice, non fosse che Crosetto, lanciato da Fratelli d’Italia, ne ha presi più del doppio. Analisi del dato: Giorgia Meloni non ha creduto nemmeno un attimo nell’operazione Casellati e altri, e ha fatto partire la mossa che ricompatta la sua squadra, per giocarsela da sola e tanti saluti ad un centrodestra che – è questo uno dei dati più evidenti e meno considerati – non sa come digerire l’uscita di scena politica di Silvio Berlusconi.
Sulla carta Crosetto aveva 63 consensi, ne ha ricevuti molti di più e questo sta ad indicare che Salvini e i suoi ghirigori hanno stufato più di qualcuno, magari anche all’interno della stessa Lega. Difficile però che vada molto oltre questo successo: quando il gioco si farà duro e i duri cominceranno a giocare e le sue larghe spalle non basteranno per salire più in alto. Non è che la succitata Lega e nemmeno Forza Italia, con tutte le sue tensioni interne, siano disposte a regalare a Fratelli d’Italia la guida della coalizione.
Enrico Letta, che ama le immagini a effetto, parla di conclave a pane e acqua. Viene in mente il precedente di Viterbo: un conclave che durò tre anni interi a tetto scoperchiato. Meglio chiedere a lui e ai Cinque Stelle un momento di seria riflessione ed una sintesi attorno a un nome. Non c’è bisogno di gesti eclatanti, è sufficiente qualche ora di concentrazione.
È vero: il Movimento è dilaniato e prostrato, i Democratici sono indecisi a tutto, Draghi ha fatto solo da catalizzatore in negativo. Ma agli uni e agli altri potrebbe tornare in mente che i processi in politica non c’è bisogno di crearli: basta saperli riconoscere e accompagnarli.
Un fenomeno, infatti, sta emergendo ed è lì sotto gli occhi di ognuno. Se Crosetto ha ottenuto un buon risultato, lo ha fatto su indicazione di un partito. Ma non è lui il nome che ha registrato il maggior quantitativo di preferenze. Questo nome è invece Sergio Mattarella, che non solo non ha avuto un endorsement ufficiale, ma addirittura si tiene ben lontano dalla mischia. Eppure: prima votazione 35 voti; seconda votazione 39; terza 125. Una crescita che ha assunto un ritmo geometrico e che potrebbe trovare conferma anche nelle prossime ore.
Se così fosse, diverrebbe difficile ignorare l’evidenza dei fatti: c’è un moto che sale dalla base dei Grandi elettori, e difficilmente potrà essere fermato. Meglio, a questo punto, assecondarne la spinta. Se quello che sta andando in scena a Montecitorio è il convulso esaurirsi della seconda fase della Repubblica, per garantire un’attenta transizione verso la terza non sarebbe sbagliato chiedere un sacrificio a qualcuno. A proposito: anche al Conclave di Viterbo, nel 1271, alla fine si decise di assecondare il desiderio del popolo. Vox populi. Quel qualcuno che dicevamo prima, inoltre, ha un buon carattere: potrebbe anche acconsentire.