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Come la comunità ebraica contribuì all’unità d’Italia

Quadri e tele del Risorgimento mettono in luce lo spirito patriottico delle comunità israelitiche in Italia: dai giovani pittori, al fronte come volontari, agli ufficiali in campo

Da una parte l’entusiastica partecipazione degli ebrei al processo risorgimentale come strumento per conquistare l’emancipazione dai ghetti e la piena uguaglianza, dall’altra l’epopea del popolo di Israele come modello storico dei patrioti alla riconquista del suolo natio, come perfettamente illustrato nel Va’ pensiero di Verdi.

Non è esagerato affermare che c’è un legame strettissimo tra gli eventi che portarono all’unita d’Italia e le comunità israelitiche italiane che vissero quei decenni con un sincero spirito di rivendicazione di piena italianità. Tutto questo è raccontato tramite quadri, documenti e sculture nella mostra presso il Museo Ebraico di Roma, “1849-1871 Ebrei tra segregazione ed emancipazione”.

L’esempio più plastico di questo trasporto patriottico degli ebrei italiani è l’esperienza dei pittori soldato. Giovani ebrei volontari che combatterono in prima linea, con l’esercito piemontese poi con quello del neonato Regno d’Italia, e che immortalarono battaglie e protagonisti del Risorgimento sulle loro tele. Quadri che almeno una volta tutti noi abbiamo visto sui libri di storia e sui testi scolastici e che arricchiscono l’esposizione in corso.

Opere come il ritratto di Mazzini di Serafino De Tivoli o l’Ultimo vittorioso assalto al Colle di San Martino di Raffaele Pontremoli sono diventate icone del Risorgimento. E poi ancora il dipinto di Vittorio Emanuele II che riceve a Firenze il plebiscito dei Romani o ‘La spia’ di Alberto Issel. Non meno importante fu il contributo degli ufficiali ebrei sul campo, tra questi spiccano i nomi di Giacomo Venezian, Enrico Guastalla e Giacomo Segre. Ma l’afflato per una casa comune di tutti gli italiani non era di esclusiva appartenenza delle classi più agiate e colte. Significativo è infatti un certificato di matrimonio del 1872 tra Rafael Milano e Stella Sonnino, due sposi della comunità ebraica romana, vergato con le stringe tricolori verdi, bianche, rosse. “Fratelli la nostra patria ci chiama!”. Diceva un educatore israelita nel 1866. Uno slancio che proseguì fino all’impegno nella Prima Guerra Mondiale. Per tutti questi motivi gli ebrei italiani vissero come un tradimento la firma di casa Savoia sulle leggi raziali del 1938.

L’insegnamento ancora attuale che il tema della mostra offre è la valorizzazione della ricchezza e della complessità della storia e della società italiana. Attraverso l’esposizione si capisce il contributo culturale e spirituale che ogni componente religiosa può offrire al Paese, un processo fondamentale per l’armonia di tutta la Nazione. Lo stesso Giuseppe Mazzini diceva “l’elemento religioso è universale, immortale: universalizza e collega”, mentre sui primi tricolori della Repubblica romana, di cui Mazzini fu uno dei maggiori esponenti, campeggiava il motto “Dio e Popolo”. La verticalità che offre la visione trascendente della vita è quindi un elemento di forza a cui può attingere ogni comunità nazionale, soprattutto nei momenti più decisivi e difficili come quello dell’attuale pandemia del Covid.

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