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L’attualità del Concilio Vaticano II nel pontificato di Papa Francesco

In Terris ha intervistato il teologo Gianni Gennari sull'attualità del Concilio Vaticano II

L’11 ottobre del 1962 è cominciato a Roma il Concilio Vaticano II indetto da Papa Giovanni XXIII che ha avuto una durata di tre anni – fino al dicembre 1965 – e concluso da Papa Paolo VI, che è stato certamente un evento tra i più grandi della Chiesa Cattolica con cambiamenti di tratti fondamentali della sua presenza, a cominciare dalla liturgia con la partecipazione attiva dei fedeli e la celebrazione non più in latino ma nella lingua nazionale. Ci sono stati anche altri cambiamenti, soprattutto culturali, nella direzione di un maggiore avvicinamento e dialogo con società laica. La valutazione dell’attualità del Concilio e della sua eredità fino ad oggi costituiscono un importante tema sul quale la Chiesa Cattolica si concentra anche con diverse valutazioni. In Terris ha intervistato sul tema il professor Gianni Gennari giornalista, teologo, studioso di Santa Teresa di Lisieux. Ha insegnato Teologia morale in diverse Università pontificie ed è stato per anni, dal 1979 al 2005, vaticanista del giornale Radio Rai. Tra l’altro ha tenuto, a partire dal 1996, la rubrica quotidiana Lupus in pagina su Avvenire, il quotidiano della Cei.

L’intervista

L’11 ottobre del 1962 Papa Giovanni XXIII apriva il Concilio Vaticano II e alla sera pronunciava il celebre “Discorso della luna”: cos’ha significato per la storia della Chiesa questo singolare momento?

“È stato un momento importante con l’inizio di una realtà preannunciata da due anni. Il 25 gennaio 1960 Giovanni XXIII annuncia l’intenzione di indire un Concilio e rivedere il codice di diritto canonico e indire un Sinodo della Diocesi di Roma. Il tutto dopo la celebrazione della messa per la festa della conversione di San Paolo nella Basilica omonima. In quel momento io mi trovavo lì, a pochi metri dal Papa, perché avevamo servito la sua Messa in Basilica, anche in onore del nuovo Abate di San Paolo, Don Cesario D’Amato che era stato nostro professore di musica al Seminario Minore. All’annuncio di questa triplice iniziativa, un Concilio, un nuovo Codice di Diritto Canonico e un Sinodo Romano, vidi il volto dei cardinali in prima fila con segni di sbalordimento. Credo che sia estremamente importante ricordare le vere svolte che questo momento ha impresso nella vita della Chiesa”.

Quali sono le svolte che ha segnato il Concilio Vaticano II?

La prima svolta, quella verso i poveri, ad esempio, ha segnato un momento importante e ha anticipato alcuni dei tratti dell’attuale pontificato di Papa Francesco. A quel tempo, il cardinale Giacomo Lercaro parlò spesso di questa che poi fu presente nel celebre “Patto delle Catacombe”, la scelta della povertà come segno distintivo della Chiesa ricordata in passato come il segreto delle Catacombe. Oggi, nessuno può dire che questa svolta sia un segreto, in quanto è quello che cerca di realizzare Papa Francesco.

La seconda svolta, importante quanto la prima, anche se su un piano profondamente diverso, è la svolta biblica: dalla Bibbia proibita e sconosciuta si è passati alla Bibbia per tutti. Nel passato, fino a qualche decennio fa, la Bibbia era qualcosa da riservare ai dotti. Santa Teresa di Liseux – oggi Dottore della Chiesa – racconta che non ha mai potuto avere in mano la Bibbia intera, ma poteva avere alcuni testi solo autorizzata dalle Superiore. Qui la svolta, la Dei Verbum, ossia l’Enciclica sulla Parola di Dio, è al centro del Concilio. Indubbiamente il testo più profetico dell’intero Concilio Vaticano II.

Una ulteriore svolta è quella della concezione della Chiesa da società perfetta a popolo di Dio. Popolo di Santi e peccatori: quando Paolo VI nel 1965 parlò di Chiesa insieme Santa e peccatrice, qualcuno strillò all’eresia “in hoc Papa haereticus sicut Luterus” disse allora il Rettore dell’ateneo Lateranense.

La quarta svolta fu quella del passaggio da una Chiesa chiusa in sé stessa a Chiesa del dialogo con il mondo. La spiritualità e la Teologia preconciliare avevano paura del dialogo da tutti i punti di vista. Ricordo la demonizzazione del dialogo nella spiritualità che veniva insegnata a nome della celebre scuola romana antimodernista fin dagli inizi del secolo. Ci sono opere importanti contro ogni dialogo della Chiesa con il mondo: “La Chiesa si salva soltanto se si chiude in sé stessa!” Oggi che credo nessuno oggi abbia più il coraggio di sostenere una tale tesi. La Chiesa in uscita e la Chiesa ospedale da campo trovano la loro sorgente proprio nei termini delle scelte di Papa Paolo VI e del Concilio Vaticano II: da Chiesa in difesa di sé a Chiesa in lotta per la giustizia, per la pace, per i diritti dell’uomo, credo che questo sia il frutto del Concilio. Da Chiesa da servire a Chiesa che vuole essere servizio per tutti. Dalla Chiesa dei “punti fermi” che, in nome di questi, si impegnava direttamente anche in scelte politiche – addirittura partitiche – a Chiesa che si mantiene a distanza da tutti gli elementi del potere terreno, qualunque esso sia. Un’ultima svolta è rappresentata dal passaggio da Chiesa delle dispute ideologiche a Chiesa del rispetto delle diversità culturali. In questo senso il Concilio Vaticano II è stato una vera rivoluzione”.

Che valenza assume il tema dell’ecumenismo nel Concilio Vaticano II?

“È sufficiente leggere la dichiarazione Nostra Aetate che riguarda le altre religioni: non c’è nessuna condanna, nessun rifiuto ma un’apertura al dialogo con tutti. Infatti, credo che questo sia stato il documento che ha avuto più opposizione fino alla fine all’interno del Concilio. Dal punto di vista del cambiamento profondo della visione della Chiesa la dichiarazione sulla libertà religiosa ha certamente il primo posto ed è così decisiva che è stata la dichiarazione che ha avuto più opposizioni anche nel voto finale. Quanto all’importanza del Concilio in generale credo che vada ricordata una celebre lettera di Papa Paolo VI a Monsignor Lefebvre in cui dice testualmente che il Concilio Vaticano II “non è meno autorevole ma – per taluni aspetti – è più importante del Concilio di Nicea”. Va ricordato che Nicea fu il Concilio che nel 325 formulò per sempre il testo del Credo. Quando lesse in anticipo quella lettera il Cardinale Jean Villot, Segretario di Stato, si spaventò in qualche modo e chiese al Papa di ammorbidire questa affermazione, ma Paolo VI non acconsentì. A proposito del Concilio e del cambiamento nei confronti del linguaggio ecclesiastico mi viene in mente un episodio vissuto personalmente, anche se non direttamente collegato al Concilio. Il ricordo risale a quasi cinquant’anni fa: Monsignor Cesare Pagani, assistente centrale delle Acli – le quali ebbero un rapporto anche dialettico con Papa Paolo VI e furono le prime che abbandonarono il patrocinio della Democrazia Cristiana. -Dopo una visita agli operai di una fabbrica di apparecchi meccanici sulla via Tiburtina che fu ricordata con un volume in seguito inviato da Pagani allo stesso Papa Paolo VI che scrisse una nota iniziale di mano sua sul volume, prima di restituirlo: “più Cristo meno Papi!”.

Il Concilio e questi valori rappresentano ancora la stella polare del pontificato di Papa Francesco”.

Qual è stata l’eredità del Concilio Vaticano II e come si riflette sulla Chiesa di oggi?

“L’eredità del Concilio Vaticano II va vissuta giorno per giorno e si riflette sulla Chiesa di oggi ascoltando gli indirizzi del Papa, con cui egli si muove e con cui parti dell’episcopato lo aiutano in questa direzione, ma anche ricordando che ci sono ancora i nostalgici del passato. Papa Francesco vive il proprio essere “Servo dei Servi di Dio” nel suo modo tipico, che è diverso per ciascun Papa. Sono convinto che la Provvidenza di Dio governi i Sinodi, i Concili e anche i Conclavi: la storia dimostra che chi guida la nave, più o meno aiutato dal popolo di Dio, clero e laici, è sempre il Signore”

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