In questi tempi dolorosi si parla molto di povertà. Perché negli ultimi anni è molto aumentato il numero dei poveri, perché è cambiata la loro composizione, essendovi comprese categorie che in passato non ne facevano parte, perché la povertà si è diffusa territorialmente. Le persone in povertà assoluta sono arrivate nel 2020 ad oltre 5,6 milioni di individui (9,4%), essendo molto aumentate anche nel Nord del Paese. L’incidenza della povertà minorile tocca il 13,5%. Sono colpiti anche i nuclei familiari giovani, con almeno 2 figli e in cui un genitore lavora. Aumentano i working poor (lavoratori precari, irregolari). Uno straniero su tre è in povertà assoluta. Agli inizi del 2021, i richiedenti aiuto a Caritas per il 24% si sono rivolti per la prima volta ad essa, e per il 60% sono italiani, avendo sperimentato difficoltà di lavoro, difficoltà abitative, povertà educativa, disagio psico-sociale. Si parla molto anche delle misure introdotte a sostegno della povertà, per lo più sostegni monetari, e si deplora la loro inadeguatezza, e si denuncia con forza il loro ottenimento fraudolento, invocando l’interruzione delle misure stesse: si veda la campagna lanciata contro il Reddito di cittadinanza.
Non si dedica però altrettanta attenzione ai fattori che generano la povertà, quali quelli all’origine delle dinamiche dell’economia, o quelli determinanti il funzionamento del sistema economico e sociale. Uno studio recente sulla povertà in Italia mostra come agiscano sulla povertà, e sulla sua natura multidimensionale, le criticità del mercato di lavoro, sia della domanda che dell’offerta, le debolezze e le frammentazioni del sistema di welfare, ed anche le regole che guidano la vita sociale e familiare, e in particolare la divisione del lavoro all’interno delle famiglie, con le sue ricadute sulla partecipazione delle donne al mercato del lavoro.
In questo contesto, la pandemia, deprimendo l’economia, l’occupazione, l’intera società, ha potenziato gli effetti negativi degli squilibri, delle disparità, delle fragilità operanti nel sistema. Le misure tampone introdotte dal Governo a beneficio di specifiche categorie (Cig, blocco dei licenziamenti, bonus) hanno accentuato le disuguaglianze tra i lavoratori, in dipendenza del diverso grado di protezione di cui questi godono. Per la pandemia è peggiorata anche la situazione delle donne, a motivo della sospensione dei servizi educativi per l’infanzia, e delle attività didattiche nelle scuole. Anche i bambini e i ragazzi hanno subito conseguenze preoccupanti, sotto gli effetti delle modalità della didattica a distanza, e dell’aumento della dispersione scolastica. E forte è stato l’aggravamento delle condizioni di anziani e disabili, per la diffusione del contagio, e la sospensione di servizi essenziali. Ed è naturalmente peggiorata la situazione dei senza fissa dimora.
Porre attenzione alla povertà, interessarsi alle sue caratteristiche può essere dunque occasione per cogliere, approfondire i malfunzionamenti e le iniquità del sistema e mettere a fuoco gli interventi necessari per porvi rimedio. Sono molteplici i piani lungo cui può svolgersi una strategia di contrasto alla povertà. Da un lato deve erogare sussidi e sostegni immediati per garantire una vita dignitosa a chi si trova in grave difficoltà. Ma deve anche assicurare a questi la formazione delle conoscenze e delle capacità per favorire una loro uscita autonoma da una situazione di indigenza.
In una visione ampia, per ridurre il rischio di caduta in povertà, la strategia suddetta dovrebbe anche contrastare le disuguaglianze esistenti, ed eventuali processi che portino all’impoverimento di determinate fasce di popolazione, impegnandosi a superare le criticità strutturali che ne sono all’origine: si pensi ai caratteri del mercato del lavoro che sotto la spinta degli effetti della pandemia potenziano gli squilibri esistenti.
E non si dimentichi l’esigenza di attuare interventi volti alla sostenibilità dell’ambiente, secondo un corretto orientamento ecologico, in linea con la “Economia di Francesco”. Si tratta chiaramente di un’azione complessa, composta di più politiche tra loro integrate, che si svolge lungo diversi orizzonti temporali, di breve o brevissimo termine, ma anche di medio e lungo periodo, sino a riguardare l’efficacia della Missione sociale del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza italiano.
Di tutto questo debbono occuparsi i politici, e dovrebbero parlare i media, i giornali, e i social, invece di tante falsità, banalità, e spesso inutili preoccupazioni … anche per promuovere un coinvolgimento serio dei cittadini.
Si incontra qui un altro nodo fondamentale, che esige un cambiamento profondo di paradigma: con l’attuale crescente differenziazione, variazione e moltiplicazione dei bisogni, ad un’adeguata strategia nazionale contro la povertà e per l’inclusione sociale, deve affiancarsi sul piano locale un welfare, volto all’erogazione di servizi, di natura comunitaria, che veda il coinvolgimento dei cosiddetti “corpi intermedi” (famiglie, associazioni di promozione sociale, organizzazioni di volontariato, imprese sociali, altri enti del Terzo Settore) nella programmazione, progettazione e gestione dei servizi pubblici offerti: una cooperazione di questo genere può consentire una migliore conoscenza dei bisogni, una più efficace personalizzazione, una più incisiva generatività del welfare, un più puntuale monitoraggio, una più adeguata disponibilità di risorse.
In questa direzione, che presuppone un profondo cambio di orientamento sia nella Pubblica Amministrazione che nella società civile, si stanno diffondendo nel territorio nazionale esperienze di coprogrammazione e di coprogettazione, nelle quali il principio di sussidiarietà e quello di solidarietà si intrecciano con il coinvolgimento della società civile, con la possibilità di assicurare un contributo non trascurabile all’inclusione sociale ed alla costruzione del Bene Comune.