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I fattori per comprendere le differenze salariali in Italia

In occasione della Giornata internazionale della parità di retribuzione, l'intervista di In Terris a Linda Laura Sabbadini, direttrice centrale dell’Istat e Chair Women del Women20, il G20 delle donne

In Italia meno di una donna su due lavora e soltanto una Regione, l’Emilia Romagna, e le due Province autonome di Trento e Bolzano hanno raggiunto, impiegandoci dieci anni in più, l’obiettivo europeo di un tasso di occupazione femminile al 60% entro il 2010.

La realtà del nostro Paese, lontana da quelle di Germania e Regno Unito dove questo dato supera il 70%, denuncia un ritardo che comprende anche salari più bassi rispetto a quelli degli uomini, stereotipi di genere e molestie sul lavoro. In aggiunta, le donne, poiché più presenti nel mondo dei servizi, dai lavori domestici al settore turistico, hanno risentito maggiormente delle ripercussioni della crisi generata dalla pandemia di COVID-19.

In occasione della Giornata internazionale per la parità di retribuzione, In Terris ha intervistato Linda Laura Sabbadini, direttrice centrale dell’Istat e Chair Women del Women20, il G20 delle donne, su questo tema e le sue cause, affrontando anche quello dell’occupazione femminile – con gli ostacoli che le donne incontrano nel mondo del lavoro – e della necessità di un cambiamento di paradigma per il raggiungimento della parità di genere.

L’intervista

Quant’è, il termini percentuali e assoluti, l’occupazione femminile in Italia – anche rispetto a quella maschile?

C’è un ritardo complessivo di Paese. La situazione è molto arretrata rispetto ai paesi avanzati e all’Europa, lavora meno di una donna su due lavora mentre n Germania e nel Regno Unito si supera abbondantemente il 70%. Il problema non è semplicemente il gap di genere, ma il livello dell’occupazione femminile. Certamente ciò è dovuto alla situazione molto arretrata del Mezzogiorno dove solo una donna su tre lavora – ma non è che i livelli delle regioni del Nord raggiungano Germania e Regno Unito. Pensate che l’obiettivo che l’Europa si era dato per il 2010, cioè 60% di tasso di occupazione femminile è raggiunto a 10 anni di distanza solo da Trento Bolzano e Emilia Romagna. A luglio 2021 le donne che lavorano sono 9 milioni e 644 mila, mentre gli uomini 13 milioni e 265mila.

Quali sono i lavori dov’è più impiegata la forza lavoro femminile?

Le donne sono più presenti nei servizi, in particolare nella sanità e nell’istruzione ma anche nel turismo, nel commercio e nei servizi per la cura. Questo aspetto le ha particolarmente penalizzate con la crisi post pandemica a differenza delle crisi precedenti che avevano colpito l’industria. Hanno perso più occupazione in proporzione agli uomini perché  inserite nei servizi e in posizioni particolarmente precarie e irregolari. Le donne italiane hanno un sovraccarico di lavoro di cura molto maggiore delle altre e cercano lavori come l’insegnamento che permettano loro di organizzare meglio i tempi di di vita. Le lavoratrici indipendenti sono state molto penalizzate dalla crisi, ma nel tempo sono molto cresciute le libere professioniste – intorno a 800mila prima del Covid. Molte lavoratrici indipendenti non hanno addetti e impiegano anche il loro lavoro manuale.

Quali sono le cause della disparità di retribuzione?

Intervengono vari fattori nell’evidenziare la disparita di retribuzione anche nelle generazioni più giovani e più istruite. Intanto le donne scelgono spesso corsi di laurea che  danno sbocchi lavorativi a salari più bassi, è il caso dell’insegnamento, iscrivendosi meno a corsi di laurea di tipo scientifico in materie STEM. Ciò fa sì che già al primo lavoro guadagnino meno degli uomini. Inoltre l’arrivo di un figlio diventa determinante  per comprendere le differenze salariali: una donna su cinque lascia il lavoro, ha difficoltà poi a ritrovarlo e se lo ritrova è spesso un impiego part time. La carenza di servizi sociali per la prima infanzia (solo il 26% dei bimbi va al nido) in assenza dei nonni rende assai difficile continuare il lavoro a tempo pieno. E così con il passare degli anni le differenze salariali con gli uomini aumentano significativamente e il percorso di carriera diventa difficoltoso. Poi esiste un fattore discriminazione: le donne sono ancora percepite dagli imprenditori come un costo. Quando le assumono, a volte le inquadrano a un livello più basso pur svolgendo attività di livello superiore, oppure danno un salario più basso. Questo avviene succede anche ai livelli alti, si danno meno straordinari e premi più bassi. Si tratta quindi di un insieme di fattori che agiscono tutti nel senso di evidenziare i differenziali.

Quali sono i principali ostacoli per le donne nel mondo del lavoro?

Il principale è la mancanza di servizi educativi per l’infanzia e d’assistenza per anziani,  disabili che rende elevato il sovraccarico di lavoro di cura sulle spalle delle donne. A ciò va aggiunto l’esistenza di stereotipi di genere che non permettono il libero realizzarsi delle donne nel lavoro.  E’ ormai risaputo che la crescita del lavoro femminile determinerebbe un aumento del PIL e della produttività. Lo dice il Fondo Monetario Internazionale: mantenere congelata la metà della popolazione è un forte handicap per la produttività, si selezionano peggio i talenti.

Lei è anche Chair di Women20, il G20 delle donne. Quali sono i punti principali emersi dall’ultimo vertice Women20?

Abbiamo fortemente sottolineato la necessità di migliorare quantità e qualità del lavoro. Abbattere tutte le barriere per l’accesso e la permanenza delle donne nel mercato del lavoro, assumere politiche che redistribuiscano il lavoro non retribuito delle donne nella coppia (tramite i congedi di paternità e il miglioramento dei congedi parentali) e nella società (tramite i servizi educativi per l’infanzia e i servizi di assistenza), eliminare precarietà e lavoro irregolare, azzerare il gender gap nelle retribuzioni, combattere le molestie sessuali e i ricatti sessuali sul lavoro, che rappresentano una piaga.

Quali cambiamenti sociali e cultura devono avvenire per una completa parità di genere?

Bisogna capire che è necessario un cambiamento di paradigma. L’obiettivo della parità di genere deve diventare una reale priorità del Paese. E quindi bisogna investirci cospicuamente. E’ un grande obiettivo, molto complesso da raggiungere. Implica interventi di varia natura per definizione trasversali. Se mai lo faremo, mai lo raggiungeremo. Non bastano più i piccoli passi.

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