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A cinque anni dal terremoto di Amatrice

Trascorsi cinque anni dal terremoto di Amatrice occore fare una riflessione sui piccoli centri abitati, affinchè tornino ad essere piccoli centri attivi mediante la creazione di lavoro e infrastrutture

“Non abbiamo bisogno di nuovi presepi, ma di piccoli centri attivi, a presidio di un territorio ancora straordinario e attraente per l’autenticità dei luoghi”. Queste parole del Vescovo di Rieti, Domenico Pompili, pronunciate durante la celebrazione dei 5 anni dal terremoto che colpì Amatrice, evocano la necessità di una profonda riflessione su questioni inerenti i temi dello sviluppo ed il lavoro.

Di “piccoli centri attivi” ha bisogno tutta l’Italia per ricalibrare uno sviluppo che per molti aspetti è stato più consumismo che vera crescita. L’Italia, che da sempre è il paese dei campanili, aldilà delle consuete affermazioni retoriche, non ha fatto molto affinché tutti i campanili potessero sempre rappresentare anche luoghi da vivere. Il tema dell’abbandono delle aree interne è legato ad una diffusione iniqua delle opportunità che si possono cogliere rimanendo presso i luoghi di nascita o quelli che si preferiscono, rispetto alle opportunità che si possono cogliere nelle grandi città o nelle aree più sviluppate del paese. Con questo non si vuole assolutamente svalutare il ruolo delle città o la naturale mobilità sociale che i cittadini devono poter avere. Tuttavia, se le opportunità, di studio e di lavoro, fossero meglio distribuite, probabilmente molte più persone potrebbero decidere di vivere in piccoli centri. Per essere attivo un piccolo centro deve però poter garantire ai propri abitanti prima di tutto il lavoro, che è centrale per gli aspetti economici e sociali altrimenti un presidio del territorio semplicemente passivo non ha al suo interno i germi dello sviluppo ne favorisce la voglia di permanenza. Naturalmente una comunità non si basa esclusivamente sul lavoro ma anche sulla scuola, la sanità, ecc. Quindi il lavoro non rappresenterà il tutto, ma è fondamentale per far rimanere le persone.

Se veniamo ai giorni nostri tra le esperienze della pandemia una sicuramente potrebbe aiutare i piccoli centri a rimanere ed essere attivi, ed è il lavoro a distanza. Riuscire a combinare opportunità di lavoro in loco insieme a quelle di persone che lavorano a distanza per imprese che hanno sedi nelle città vicine o altrove, magari istituendo dei luoghi di co-working, potrebbe rappresentare una soluzione per far sì che i piccoli paesi rimangano attivi e vissuti, facilitando la creazione di un tessuto locale di relazioni che a loro volta potrebbero rappresentare un ulteriore volano per lo sviluppo locale.

Non è facile e non sarà veloce, inoltre non viene meno la necessità di infrastrutture efficienti, come le reti informatiche e quelle per i trasporti, la scuola e la sanità. Ci vuole grande attenzione alle cose da fare, capacità di coinvolgere e disponibilità al coinvolgimento da parte di tutti, occorre sviluppare un ruolo nuovo per le istituzioni intermedie come le comunità montane e le altre, tuttavia è possibile riuscire a ridefinire un’Italia di “piccoli centri attivi”.

Nel contesto attuale questi processi sarebbero un obiettivo ed un effetto positivo delle cosiddette transizioni gemelle, quella digitale e quella ecologica, tanto più se vogliamo favorire uno sviluppo sostenibile, sganciandolo dal mero consumismo, dall’utilizzo dei beni usa e getta dei prodotti e rimettendo al centro le persone, il lavoro e la comunità.

Per favorire questi processi virtuosi ci vuole una regia che riconosca il ruolo vitale delle piccole comunità e nello stesso tempo favorisca una intensa coesione sociale. Dove cominciare? Amatrice e l’area circostante, come indicato dal Vescovo, è il luogo, che vista la disgrazia subita, purtroppo si presta immediatamente alla promozione di un’iniziativa come quella indicata, ma si potrebbe pensare anche alle aree coinvolte negli incendi di questi ultimi mesi, dove va ricostruito anche il patrimonio boschivo e colturale e perché no quelle zone d’Italia che possono essere attrattive per un turismo naturalistico, sull’esempio dello sviluppo rurale che si vede lungo il Camino di Santiago.

Lo sviluppo locale è fatto di tante piccole e diverse cose che vanno realizzate ed organizzate in maniera armoniosa, non solo sinergica, mettendo al centro la valorizzazione delle persone, del lavoro, della comunità, delle organizzazioni intermedie, sociali ed istituzionali, al fine di promuovere un sistema relazionale che diviene a sua volta generativo di opportunità e di ricchezza sociale ed economica, favorendo la permanenza delle persone a cominciare dai giovani.

La Cisl è il sindacato dello sviluppo, che non ha mai guardato al passato con nostalgia, ma si è sempre posta l’obiettivo di promuovere un futuro migliore utilizzando al meglio le opportunità che la realtà ci propone di volta in volta. Però le opportunità occorre saperle costruire insieme alla comunità di appartenenza.

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