Rispettoso dell’ambiente, attraente per i giovani, ponte tra le buone pratiche della tradizione e le innovazioni della ricerca, in espansione. Il settore della produzione biologica in Italia cresce e dà i suoi frutti.
Alcuni numeri
Tra il 2010 e il 2019 la superficie agricola utilizzata (Sau) a biologico è aumentata del 79%, quasi 880mila ettari, arrivando così a rappresentare poco meno del 16% del totale della superficie coltivabile nel nostro Paese, come si evince dal documento Dalla rivoluzione verde alla rivoluzione bio.
Una percentuale, quella italiana, che è circa il doppio della media europea – intorno all’8%. Per fare un rapido confronto, in Spagna la Sau coltivata a biologico è poco sopra il 10% del totale (10,1%), in Germania è sotto il dieci (9,7%) e in Francia è in linea con il Vecchio Continente (8,1%).
In Italia, inoltre, gli operatori sono quasi raddoppiati, passando dai 47.663 del 2010 agli 80.643 del 2019, quando Oltralpe sono 70.322, in Germania 49.767 e in Spagna 47.108.
La maggior parte delle superfici agricole utilizzate a biologico nel nostro Paese si trova, prevalentemente, nel Mezzogiorno, con Sicilia, Puglia e Calabria in testa.
L’intervista
Della situazione dell’agricoltura biologica in Italia In Terris ha parlato con Francesco Giardina, segretario della Associazione delle imprese biologiche e biodinamiche di Coldiretti.
Quanta produzione biologica c’è in Italia?
“Abbiamo quasi due milioni di ettari convertiti all’agricoltura biologica, circa il 15,8% del totale della superficie coltivabile, e oltre 80mila aziende certificate biologiche. Siamo il Paese europeo con più alto numero di imprese certificate biologiche e la nostra percentuale di ettari coltivati a biologico supera la media europea che è intorno all’8-8,6%. Dal lato del mercato, il consumo interno sta crescendo ma le nostre imprese hanno come principale canale di mercato l’esportazione”.
Cosa spinge la crescita del consumo interno?
“La grande distribuzione organizzata sta aprendo delle linee specifiche per il biologico. In aggiunta ai supermercati, ci sono mercati come quelli di Campagna amica, progetto promosso dalla Coldiretti, dove si può comprare tanto biologico instaurando un rapporto diretto tra il produttore e il consumatore”.
Il mondo dell’agricoltura bio attrae i giovani?
“I giovani sono sempre più indirizzati verso il biologico, abbiamo quindi una maggioranza di imprese giovani che producono seguendo queste modalità. Oltre a questo, hanno anche un grado di studio più elevato per cui si tratta di persone qualificate, spesso laureate. Questo ritorno all’agricoltura che si sta diffondendo si ritrova nel biologico, perché è un modo diverso e anche innovativo. Bisogna far tornare l’agricoltura al centro delle scelte strategiche del Paese e una classe imprenditoriale giovane, che fa scelte ambientali, è una garanzia per il mantenimento di questo comparto”.
Quali sono le colture biologiche più diffuse?
“Oggi tutte le culture tipiche italiane, sia in ambito della produzione che nella trasformazione, si fanno in biologico. Questo si trova più nel Sud del Paese, in Sicilia, Puglia e Calabria c’è la maggior concentrazione di produzione biologica. Si tratta delle tipiche produzioni mediterranee maggiormente richieste in Germania o negli Stati Uniti”.
Quali gli interventi normativi più recenti, a livello nazionale e Ue, sul biologico?
“Tra pochi mesi cambieranno le regole, con delle importanti novità. Dall’1 gennaio 2022 entrerà in vigore il nuovo regolamento europeo sul biologico. Si stanno adeguando tutte le regole, quelle europee e quelle nazionali, in attesa del passaggio. La cosa che più ci interessa sono le procedure per le importazioni, perché secondo l’attuale regolamentazione abbiamo la possibilità di importare prodotti biologici con formule abbastanza semplificate, mentre nel nuovo regolamento si richiede un’equivalenza delle regole: i produttori extraeuropei che vogliono vendere biologico in Europa devono rispettare le regole europee. Guardando al nostro Paese, al momento è in discussione, alla Camera dei deputati, un disegno di legge sull’agricoltura biologica che ha il suo interno aspetti importanti”.
All’interno del Piano nazionale di ripresa e resilienza italiano, quanto si prevede di stanziare per l’agricoltura biologica?
“Nell’ambito del finanziamento per i contratti di filiera, che ammonta a circa 1,2 miliardi, è prevista una quota specifica, al momento pari al 25% delle dotazioni complessive, per il biologico. Inoltre è finanziato con altri 20 milioni di euro un fondo specifico per l’agricoltura biologica presso il Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali per l’aggregazione produttiva e i distretti biologici”.
Ce ne può illustrare qualcuno?
“L’obbligatorietà di un logo nazionale per individuare più facilmente i prodotti italiani nei punti vendita e la definizione nazionale di “biodisretti”. Un altro elemento è delega al governo per migliorare il sistema di controllo. C’è tantissima burocrazia mentre vorremmo controlli che individuano chi opera nel modo giusto e fa meno. Un’altra questione, più strutturale, riguarda gli enti di certificazione: si tratta di enti privati posti sotto la vigilanza del Ministero e delle Regioni. Vorremo una vigilanza più attenta”.
Ha parlato di biodistretti, ci può illustrare di cosa si tratta?
“Finora in Italia si è parlato di agricoltura biologica come della scelta di una singola azienda per i propri campi. Adesso si pensa di estendere il ragionamento ai territori, dove la scelta del biologico non riguarda soltanto le aziende agricole ma la stessa comunità locale. In giro per l’Italia stanno nascendo dei biodistretti con all’interno le imprese, le associazioni del territorio e le amministrazioni. In Italia abbiamo bellissime esperienze e adesso nelle Marche si sta avviando il primo biodistretto regionale”.
Quali sono i benefici del bio per la salute dell’ambiente, degli animali e dell’uomo?
“L’elemento principale è che nell’agricoltura biologica non viene utilizzata la chimica di sintesi, un vantaggio per l’ambiente e per chi consuma quei prodotti. Una seconda questione importante dal punto di vista ambientale è la cura del terreno. Il biologico vuole aumentare la sostanza organica nel terreno, elemento fondamentale per aiutare la diminuzione dell’emissione di CO2. Un altro aspetto è che, con la sostanza organica nei terreni, si aumenta la capacità dei suoli di contenere l’acqua in modo tale da rendere meno dannosi certi effetti climatici come le “bombe d’acqua”- alternati a momenti di stress idrico in cui non piove mai. Se una bomba d’acqua arriva su un terreno desertificato, in cui c’è poca sostanza organica e ed è sabbioso, quest’ultimo subisce una forte erosione”.
Con una coltivazione più rispettosa, un terreno in più salute è anche più produttivo?
“Quando un’azienda passa al biologico c’è una prima fase in cui la resa per ettaro sarà più bassa, ma nel tempo si può tornare quasi ai livelli delle coltivazioni convenzionali, con risultati duraturi. Una delle critiche mosse al biologico è che se tutto il mondo producesse così non avremo cibo per tutti, per cui non possiamo permetterci si abbassare le produttività. Ma problemi di alimentazione e di malnutrizione nel mondo sono legati alla distribuzione del cibo, non alla produzione. Su scala globale abbiamo una sovrapproduzione, il problema è nella localizzazione di dove si fa e di dove si consuma. Il biologico si propone su alternativa valida anche su scala globale”.
Nella produzione biologica in che rapporto si trovano tradizione e innovazione?
“A differenza dell’agricoltura in cui si utilizzano prodotti chimici di sintesi per eliminare le malerbe, delle erbe infestanti, nel biologico non si fa ricorso ai diserbanti. Si trovano tecniche alternative per la difesa delle colture. Uno dei modi è la pacciamatura, una protezione della pianta per cui si possono essere utilizzate ad esempio nuove forme di plastiche derivate dal mais o altro ancora. Poiché ci si pone dei limiti verso tecniche e prodotti che riteniamo sbagliati, per evitare danni all’ambiente, bisogna studiare delle alternative e servono ricerca e innovazione. Il biologico di chiede di guardare al futuro, a soluzioni innovative, partendo sempre dalle buone pratiche della tradizione che si sono sempre rivelate utili e necessari, come la rotazione, che nel tempo si sono un po’ perdute”.
Qual è l’etica di chi prende la strada del bio?
“Approcciarsi all’agricoltura nel rispetto dell’ambiente e dell’ecosistema è già un approccio etico. La scelta di chi intraprende la strada dell’agricoltura biologica è quella di chi ha intenzione di aumentare il rispetto nei confronti dell’ambiente insieme al rispetto del lavoro, dei collaboratori aziendali e dei consumatori”.