In questi ultimi tempi giornalmente si parla di vaccinazione, e naturalmente ognuno ha qualcosa da dire, da pensare e da decidere su questo importante e delicato argomento. Intanto si è generata una bolla mediatica come succede spesso su temi di grande attualità; la politica immancabilmente vi irrompe dentro, non sempre rendendo più semplice valutazioni e decisioni private e pubbliche.
Quello che stupisce nel dibattito è la mancanza di profondità come meriterebbe la complessa questione. È come se fossimo alla prima ed inedita esperienza di vaccinazioni; come se pandemie ed epidemie fossero estranee alla esperienza storica dell’umanità. Già nel XIX secolo la vaccinazione contro il vaiolo risparmiò moltissime vite e nel Regno Unito, ad esempio, fu necessario renderlo obbligatorio.
Poi nel tempo si svilupparono altri vaccini: contro il morbillo, tubercolosi, sifilide, ed altre infezioni, fino ad arrivare alla vaccinazione della poliomielite, che fino alla fine degli anni 50 mieteva vittime ed invalidava molti bambini. Mi ricordo ancora le vaccinazioni a cui fui sottoposto; le autorità decisero ed organizzarono gli eventi per la immunizzazione nella consapevolezza comune della loro indispensabilità; le famiglie e i giornali collaborarono entusiasti; orgogliose le forze politiche della efficienza e del segno di civiltà che si mostrava in quel servizio.
Insomma tutti vivevano quegli accadimenti come un’occasione per evitare grandi pericoli personali e collettivi che lo Stato garantiva per tutti. A nessuno, né a singoli cittadini né ad associazioni sociali e politiche veniva in mente di alimentare dubbi rispetto alla immunizzazione, né a medici e specialisti in genere di confutare l’efficacia o la pericolosità della inoculazione alle persone del preparato. In definitiva la percezione e convinzione su cui poggiavano le certezze, era che ci si trovava di fronte ad un rimedio per scampare un pericolo che poteva sicuramente arrecare gravi danni alla salute, un mezzo in grado di neutralizzare un grave rischio per la perdita della vita stessa delle persone.
È ancora presente nella memoria collettiva i lutti prodotti dalla “spagnola” un secolo fa. Anch’essa fu pandemia, infezione che si propagò in ogni dove nel mondo, e non epidemia circoscritta ad un territorio. Non si trovò alcun vaccino da contrapporre, e le vite perse furono ben 80 milioni e più. Dunque, anche in questa esperienza di COVID, dovremmo vivere con grande interesse le opportunità che la scienza ci offre come toccasana; senza riserve in quanto ci da la possibilità di rimediare a situazioni che l’umanità di volta in volta si trova a fronteggiare.
La storia ci insegna che nel lungo viaggio dell’impegno della scienza per affrancare le persone dalle avversità, gli intralci della superstizione e della istigazione alla sfiducia sono stati sempre presenti; come è accaduto in questa pandemia.
All’inizio è stata negata, poi di fronte alla evidente pericolosità è stata classificata come complotto, per poi di fronte ai rimedi da allestire, si è predicata la libertà di ricorrervi o no; come se ognuno vivesse per conto proprio e non in un corpo unico.
Dunque, in costanza di un impegno non ordinario delle istituzioni, di medici infermieri, volontari e cittadini tutti coinvolti in questa pandemia, come in altre epoche, ci tocca anche scavalcare queste fastidiose difficoltà. Ed allora affrontiamo queste contrarietà come ci succede talvolta al bar, ascoltando discorsi fuori luogo. Non è il caso di replicare ad ovvietà così evidenti ma convinciamoci ad affrontare la vita con maggiore serenità e determinazione con i piedi ben piantati a terra e collegati con la migliore e positiva storia del progresso della umanità.