Fino ad inizio 2020, Lorenza Mazzoni per diversi anni ha operato nel mondo del turismo e, per questo, era spesso in viaggio. Con l’arrivo della pandemia, il suo settore ha subìto un vero e proprio blocco e quindi ha deciso di reinventarsi. In questa intervista scopriremo com’è nato Tiny Dot Zero Waste, un connubio di imprenditoria giovane al femminile, artigianato e attenzione alla sostenibilità.
Com’è nato Tiny Dot?
“Tiny Dot è nato con l’inizio della pandemia: dopo un mese di lockdown trascorso in casa, ho preso in mano la mia macchina da cucire e ho pensato di farne un vero e proprio lavoro. Cucivo già da qualche anno, sono autodidatta, e fino a quel momento le mie creazioni erano pensate come regali per amici/che e parenti”.
Qual è l’etica alla base del progetto?
“Ho da sempre avuto molto a cuore il tema della sostenibilità e, con la pandemia, ho percepito ancor di più la necessità di attivarmi per dare il mio piccolo contributo per il pianeta in cui viviamo. Prima ancora di fondare Tiny Dot, realizzavo già sacchetti riutilizzabili per conservare il cibo o per fare la spesa sfusa. L’obiettivo è quello di creare dei prodotti che vadano a sostituire l’utilizzo della plastica e di tutto ciò che è usa-e-getta, per salvaguardare l’ambiente e tutti coloro che ci vivono”.
Perché hai scelto il nome “Tiny Dot”?
“Un giorno, leggendo la rivista Flow, ho trovato un articolo che trattava l’overview effect, ovvero quella sensazione che gli astronauti provano una volta in orbita, nel guardare la Terra dallo spazio. L’articolo spiegava che, nel vedere il pianeta come un piccolo puntino in un universo così esteso, gli astronauti sentono un forte senso di appartenenza al mondo da cui provengono e il desiderio di proteggerlo. Ho subito pensato che questa è la sensazione che mi guida e mi motiva nel produrre le mie creazioni, e così è nato Tiny Dot (in inglese “puntino”)”.
Come nascono i prototipi e di che materiale sono composti i tuoi prodotti?
“Le mie creazioni nascono dall’esperienza personale e dalle necessità di tutti i giorni. Raccolgo inoltre i consigli di amici e amiche per creare dei prodotti che siano davvero utili nella vita quotidiana. Utilizzo dei tessuti biologici certificati GOTS e OEKO-TEX, che sono interamente privi di sostanze nocive, oppure dei tessuti di recupero. Un elemento che cerco nella selezione dei tessuti è che siano stoffe simpatiche e colorate: penso che un prodotto “bello da vedere” sia anche un motivo in più per essere utilizzato a lungo termine”.
Parliamo degli inizi: come hai iniziato a mettere in pratica questo progetto?
“Ho iniziato la mia microimpresa creando i primi prototipi dei prodotti e parlandone sui social. Attraverso quest’ultimi ho avuto modo di conoscere diverse persone, attività e associazioni che operano nel mio campo sia a livello nazionale che internazionale. Poi, ho iniziato a leggere molto e seguire dei corsi per donne finanziati dall’Unione Europea sulla gestione dei social, sull’editing, sulla fotografia e sulle campagne di marketing e, pian piano, mi sono fatta strada in questo mondo per me nuovo”.
Rispetto all’attività che svolgevi prima di Tiny Dot, la tua vita è letteralmente cambiata: quali sono le difficoltà che hai riscontrato?
“Devo ammettere che sono una persona a cui piace il cambiamento, che si adatta facilmente e a cui piace intraprendere nuove strade. Con il lockdown ho avuto modo di prendermi il mio tempo e mi sono adeguata al cambiamento senza fretta, in modo da sviluppare e assimilare il tutto. Nonostante ciò, devo ammettere che la gestione del tempo non è sempre così semplice dato che sono io a coprire tutti i ruoli dell’attività: sono artigiana, promoter, seguo i social e ho anche creato il logo di Tiny Dot. Anche a livello burocratico affronto alcune difficoltà ma, dedicare il mio tempo interamente ad un progetto in cui credo, mi dà la giusta motivazione”.
Hai riscontrato delle difficoltà in quanto giovane donna imprenditrice?
“Per il momento non ho riscontrato grosse difficoltà in quanto donna, anche perché sto sviluppando il progetto prevalentemente da sola. Mi sento di parlare però di una difficoltà psicologica che deriva dall’educazione che ho ricevuto proprio in quanto donna, ovvero il dover essere sempre “accomodante e gentile”. In alcune occasioni in cui ho avuto delle divergenze con dei collaboratori ho trovato difficile esprimere il mio dissenso per paura di ferire l’altra persona. Ma poi ho capito che le mie critiche erano del tutto legittime e che devo ricordarmi che sono la capa del mio progetto”.
Che consigli daresti a chi vorrebbe intraprendere un percorso come il tuo?
“La mia decisione è stata in un certo senso aiutata dalla pandemia, quindi mi rendo conto che non è facile per tutti lasciare un lavoro sicuro per intraprendere una nuova strada. Detto ciò, penso che se si ha un sogno si deve studiare, informarsi, leggere e lavorare per raggiungerlo. Visualizzare l’obiettivo e cercare attivamente di raggiungerlo è fondamentale. Consiglio inoltre di chiedere aiuto nel fare tutto ciò, sicuramente si troverà qualcuno disposto a condividere con noi la propria esperienza e il proprio sapere. Ultimo ma non per importanza, è necessario credere che il nostro tempo è più importante di qualsiasi altra cosa”.