Nell’ultimo G7, il primo dell’amministrazione Biden, svoltosi alcuni giorni fa, sul tavolo c’erano i rapporti tra Stati Uniti e Unione europea, per ristabilire il dialogo interrotto durante la presidenza Trump, e in generale i rapporti internazionali all’interno di una cornice multipolare dove spicca la Cina, esplosa dal punto di vista economico-commerciale che comincia a delinearsi come potenza futura.
Oggi, dalla visita europea e dalle dichiarazioni di Biden emerge la volontà americana di fare della Cina un avversario sistemico. Nel corso degli incontri in Europa si è trovato il modo si smussare alcuni angoli della posizione del presidente statunitense, la linea dell’Unione europea si poggia su una molteplicità di punti: la condivisione sul piano dei valori; la concorrenza; la competitività; la capacità di identificare negli altri sistemi differenti dai nostri.
Biden intende impostare il rinnovato dialogo con la Ue sul principio che da un lato si trovano le democrazie e dall’altro le autocrazie. Questa impostazione che in Europa è ricevuta con qualche distinguo, perché se si definisce come un avversario un proprio interlocutore poi diventa difficile competere con lui secondo modalità condivise. Biden ha dimostrato, nel suo colloquio con la Russia, che accetta la compatibilità tra accuse molte dure e negoziati su fronti rilevanti. Ciò può generare qualche perplessità, ma nel confronto tra con la Russia, sotto il sorriso e la stretta di mano, è molto probabile che sia siano definite le rispettive zone rosse da non valicare.
La visita in Europa ha rilanciato il vincolo transatlantico e ha indicato la Cina come l’avversario di domani. Quanto questo poi si possa tradurre con gli interessi in gioco bisognerà capirlo. La partita è aperta e l’Europa ha fatto sentire la propria voce. Francia e Germania hanno sollevato dei distinguo e il presidente del Consiglio italiano Mario Draghi ha confermato il proprio profilo internazionale e la sua linea, basata su chiarezza di linguaggio, concorrenza e competizione.
L’Italia, negli anni passati, ha preso accordi anche formali con la Cina, pensiamo a quello della “Via della seta”, partendo dall’assunto dell’inevitabilità realistica e dall’importanza di questo rapporto. La strategia globale della Cina si estende nel Mediterraneo e in Medio Oriente, penetra nei porti come strumenti facilitatori dello scambio commerciale. Inoltre la presenza cinese è crescente anche in Nord Africa ed è di pochi anni fa la scelta di installare una base militare nello Stato di Gibuti, sul Mar Rosso.
La Cina sta dimostrando la sua forza sul piano economico e commerciale, anche per ragioni numeriche, viaggia verso una serie di primati e si muove verso una supremazia concorrenziale con gli Stati Uniti, anche se questi ultimi hanno ancora un vantaggio tecnico, economico e militare.
Se guardiamo agli anni della presidenza Trump, con la Cina tutto si traduceva in una battaglia di sanzioni. Questa strategia però può colpire le popolazioni, con il rischio di generare una micro-conflittualità diffusa, a danno dell’una e dell’altra parte.
Non pare profilarsi all’orizzonte un conflitto tra gli Stati Uniti e la Cina, ma è necessario un confronto sugli interessi oggettivi delle Nazioni. Sotto questo aspetto, il vero problema per l’Europa è quello di trovare un bilanciamento tra una solida realtà transatlantica, conciliando alleanza di interessi e comunanza di valori, e una solida capacità di interloquire con il mondo. L’Europa oggi ha un grande scelta, si apre un orizzonte molto impegnativo su cui lavorare. Un segnale è rappresentato dalla recente emissione degli “eurobond”, un passo avanti verso la costruzione di un’Europa che sappia affrontare le sfide con un approccio positivo.