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Pericoli e opportunità per gli italiani

L’altro ieri si è festeggiata la Repubblica che ha già  tre quarti di secolo, ed a partire dal Presidente Sergio Mattarella, ogni considerazione riferita  a quel 2 giugno 1946 di fondazione dopo il referendum che sancì la fine della monarchia, ha riguardato il confronto tra l’esperienza terribile del dopoguerra e quella che ancora stiamo vivendo della pandemia.

Le città italiane erano un cumulo di macerie, le casse dello stato prosciugate, le famiglie a lutto per la perdita dei propri padri e figli, fratelli e mariti, eppure, come si è ripetuto all’unisono, gli italiani hanno affrontato la realtà con coraggio e determinazione e già dopo più di un decennio, nel mondo già parlavano degli italiani come popolo capace di originare un boom economico difficile da rintracciare nelle storie dei vari popoli.

Ora, a settantacinque da quella ripartenza, sono in grado classe dirigente e popolo ritrovare quella stessa tensione morale ed intraprendenza? In quell’epoca i governi non distribuivano a piene mani bonus ai cittadini, le casse pubbliche erano vuote molto più di ora ora, e i debiti di guerra pesavano come macigni sul futuro come ora. C’era da ricostruire strade, ponti, città, fabbriche e credito internazionale, ma gli italiani si diedero da fare, e con essi i rappresentanti delle istituzioni. Anche allora c’erano forti divisioni tra le forze politiche, ma erano divisioni che riguardavano la visione che si prospettava per lo sviluppo della società: da una parte la democrazia liberale, dall’altra il socialismo ad egemonia di una classe. Non erano dunque disfide sul niente come spesso avviene ora, eppure tutti collaborarono per ricostruire sul piano economico ed istituzionale la spina dorsale della nuova Italia.

Ed invece ora? Al massimo, e per fortuna,  ci si è sforzati ad accettare Mario Draghi a capo di un governo, pur sempre con l’occhio ai calendari per il voto, ed a promettere bonus, salari non sudati, ristori. Ma il nostro debito è cresciuto al 160% del PIL per distribuire denari che non faranno altri denari, circostanze che se non avessimo le spalle coperte dall’Europa e BCE, saremmo già facile pasto per gli avvoltoi della finanza internazionale. Si dirà che abbiamo la carta jolly dei 200 miliardi europei del Piano nazionale di ripresa e resilienza, e questo è vero, ma rischia di diventare come un acquazzone di agosto che si riversa su terreni argillosi in assenza di riforme. E bisognerà anche sperare che l’inflazione non rialzi la testa come sembra stia avvenendo. Se dovesse capitare, insieme ad un disallineamento dell’economia USA rispetto a quella europea per investimenti mai impiegati con 20 mila miliardi di dollari, le banche internazionali aumenteranno i tassi di interessi e di conseguenza anche la BCE, ingrossando così ancor più il nostro debito.

Insomma questi fattori potranno depotenziare la forza d’urto delle somme che impiegheremo, oltre ai piombi ai piedi se si dovesse ancora persistere a mantenere il fallimentare status quo nella pubblica amministrazione, fisco, giustizia, lavoro che vanno immediatamente cambiato: fattori ormai incompatibili con gli interessi delle famiglie, imprese ed investimenti esteri.

Le riforme dunque vanno fatte per premunirci da ogni accadimento pericoloso e per dare efficacia agli investimenti ed  evitare di essere risucchiati  nel girone della insostenibilità del debito, conclamata è certificata. Dunque ai capi di partito bisognerebbe dire con semplicità: abbiamo la fortuna di avere a capo del governo Draghi che è una indubbia garanzia per i mercati internazionali e per l’Europa, ed allora si investa ogni propria ambizione di parte sugli interessi della Nazione. Il dividendo per il benessere di tutti sarà grande ed anche vostro in termini di prestigio. Infatti i capi dei partiti del primo dopoguerra, pur nella divisione, erano da tutti rispettati proprio per aver saputo costruire le premesse essenziali per il benessere che però in questi ultimi anni si è indebolito.

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