Il magistero di Francesco insegna cosa significhi davvero integrare i migranti. Jorge Mario Bergoglio pone l’integrazione sul piano delle opportunità di arricchimento interculturale. Generate dalla presenza di migranti e rifugiati. Secondo il Pontefice figlo di migranti l’integrazione non è un’assimilazione. Che induce a sopprimere la propria identità culturale. O a dimenticarla. Il contatto con l’altro, per Francesco, porta piuttosto a scoprirne il “segreto”. Ad aprirsi a lui. Per accoglierne gli aspetti validi. E “contribuire così ad una maggior conoscenza reciproca”. È un processo prolungato. Mira a formare società e culture. Rendendole sempre più “riflesso dei multiformi doni di Dio agli uomini”.Dalla sua storia personale Jorge Mario Bergoglio ha imparato a tenersi lontano da personalismi. Decisioni brusche. Autoritarismi. Perché stancano e non portano lontano. Se n’è accorto quando, diventando vescovo, iniziò a lavorare con i poveri di Buenos Aires. Per questo le sue attenzioni sono prima alle persone che non alle strutture preposte. Non categorie sociologiche, ma luoghi dove essere Chiesa. E far vivere il messaggio evangelico. Se parla della donna è perché ha ascoltato realmente le donne di Plaza de Majo in Argentina. Se parla di periferie è perché la Settimana Santa, anche da vescovo, la celebrava nei barrios. Se parla di migranti è perché ha dovuto accogliere peruviani, boliviani e paraguayani giunti a Buenos Aires. E finiti nel vortice della spaventosa crisi argentina del 2003.
Con senso pratico e lungimiranza profetica, Francesco avverte che l’integrazione dei migranti può essere accelerata. Attraverso l’offerta di cittadinanza slegata da requisiti economici e linguistici. O seguendo percorsi di regolarizzazione straordinaria. Rivolti a migranti che possano vantare una lunga permanenza nel paese. Da pastore della Chiesa universale indica la necessità di favorire in ogni modo la cultura dell’incontro. Moltiplicando le opportunità di scambio interculturale. Documentando e diffondendo le buone pratiche di integrazione. E sviluppando “programmi tesi a preparare le comunità locali ai processi integrativi”. A suscitare la sua preoccupazione è soprattutto un caso speciale. Quello degli stranieri costretti ad abbandonare il paese di immigrazione. A causa di crisi umanitarie. Si tratta di persone con esigenze specifiche. E cioè bisognose che venga loro assicurata un’assistenza adeguata per il rimpatrio. E programmi di reintegrazione lavorativa in patria.Tutto il magistero di Francesco è fatto di profezia. Come se dicesse: io ti faccio vedere ciò che tu non sei più in grado di vedere. Per colpa delle cataratte storiche o ideologiche che ti riducono la vista. E cioè gli uomini-scarto. L’umanità e la fratellanza dei migranti. La catastrofe ecologica che minaccia la vita soprattutto dei popoli più poveri. Ecco io ti tolgo le cataratte che ti impediscono di vedere. Ma la soluzione tecnica a questi drammatici problemi la devi trovare tu. E’ responsabilità politica tua. Io non voglio invadere il terreno della tua autonomia. E della tua competenza di laico. E soprattutto di laico impegnato in politica (LG 31).Nella lettera enciclica Fratelli tutti il Pontefice ha messo nero su bianco un auspicio. Passata la crisi sanitaria, “la peggiore reazione sarebbe quella di cadere ancora di più in un febbrile consumismo”. E in nuove forme di “auto-protezione egoistica“. Quindi “voglia il Cielo che alla fine non ci siano più ‘gli altri’. Ma solo un ‘noi'”. Per questo Francesco ha dedicato il messaggio per la 107a Giornata mondiale del migrante e del rifugiato a un tema. Che racchiude un programma di azione pastorale e sociale. “Verso un noi sempre più grande”. E’ l’indicazione di un chiaro orizzonte per “il nostro comune cammino in questo mondo“.