Il prossimo 16 maggio verrà celebrata la 55a Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali, istituita da Paolo VI nel 1967, e per questa occasione Papa Francesco, il 23 gennaio scorso, ha reso pubblico il suo Messaggio dedicato all’evento: “Vieni e Vedi (Gv 1, 46). Comunicare incontrando le persone dove e come sono”.
Con questo Messaggio, rivolto a tutti coloro che lavorano nel mondo dell’informazione, il Pontefice alla luce del Vangelo che può illuminare ed ispirare ogni realtà umana, offre un ulteriore contributo anche alla deontologia del giornalista, di cui molto si parla tra gli appartenenti della categoria. È per questo che condivido, senza alcuna pretesa d’insegnare perché novello nel mestiere da pubblicista, delle semplici riflessioni che le parole del Papa mi hanno suscitato.
Anzitutto, la citazione biblica, con la quale inaugura il suo scritto, riporta l’invito con cui l’apostolo Filippo risponde a Natanaèle, un po’ scettico, dopo avergli narrato l’incontro con il Messia, Gesù di Nazareth. Tale invito, secondo il Pontefice, è il metodo di ogni autentica comunicazione umana ed ancor più – a mio avviso – lo è per coloro che lavorano nel settore dell’informazione. L’andare (vieni) ed il verificare (vedi), infatti, sono alla base di ogni narrazione che deve avere come fonte “la vita concreta delle persone” e che sa “cogliere i fenomeni sociali più gravi e le energie positive che si sprigionano alla base della società”, come afferma il Papa nel Messaggio, e non fatta dal solo rilancio della notizia che migra di testata in testata. Francesco, difatti, mette in guardia da un’informazione “costruita nelle redazioni, davanti al computer, ai terminali delle agenzie, sulle reti sociali, senza mai uscire per strada, senza più “consumare le suole delle scarpe”, senza incontrare persone per cercare storie o verificare de visu certe situazioni”.
Tale movimento in uscita deve chiaramente essere reso possibile dalla “macchina” dell’informazione. Questo per ovviare, sempre citando il Messaggio, “il rischio di un appiattimento in “giornali fotocopia” o in notiziari tv e radio e siti web sostanzialmente uguali, dove il genere dell’inchiesta del reportage perdono spazio e qualità a vantaggio di una informazione preconfezionata, “di palazzo”, “autoreferenziale”.
Su tutto ciò incide molto la rete che ha di certo accorciato le distanze e facilitato il recupero delle fonti, come ha reso l’informazione fruibile ad un pubblico più vasto, ma al contempo rischia di innestare le dinamiche di cui parla il Papa, oltre che dare spazio alla piaga delle fake news. Ciò non vuole essere una demonizzazione della realtà virtuale, che con evidenza risulta uno strumento più che utile, ma è il tentativo di sottolineare, aiutato ancora dalle parole del Papa, come i giornalisti e gli operatori della comunicazione sono “chiamati a essere testimoni della verità: ad andare, vedere e condividere”. Dunque, c’è da far tesoro delle sollecitazioni contenute nel Messaggio, affinché vengano costantemente narrati i fatti con verità, tenendo conto che “nella comunicazione nulla può mai completamente sostituire il vedere di persona”.