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SuperLega, perché gli sportivi dicono no all’opportunismo economico

La sensazione che questa storia della SuperLega sia molto vicina alla storia di Hiroo Onoda e dei tanti militari fantasma dell’esercito giapponese che a distanza di anni ancora non avevano capito, o si ostinavano a non voler capire, che la guerra era finita. Ecco, spostando il tiro sulla SuperLega, la guerra non è mai cominciata che è già finita, ma Juve, Real e Barcellona continuano a far finta di avere alle spalle ancora l’esercito iniziale. Ma nove si sono ritirati. I primi sei, gli inglesi, che da subito hanno capito che era una sciocchezza. Una parte importante di questa storia, la si deve al cuore del tifo ai governi, in particolare quello italiano e inglese, che hanno stoppato sul nascere un progetto che non aveva i connotati della qualità, ma dell’opportunisno economico. Poi alle inglesi si sono aggiunte Inter e Atletico Madrid.

L’ultima a resistere è stata il Milan che si è defilata per evitare ulteriori problemi con la Uefa, visti i pericolosi precedenti. Un addio a malinciuore, perché il club rossonero in questa SuperLega ci crede ancora, ma visto che l’entrata in Champions è ancora da conquistare, il club per opportiunismo, ha deciso diu sfilarsi da una querelle che avrebbe prodotto solo macerie, soprattutto dal punto di vista legale. Il Milan ha già patito la scure dell’Uefa per via del fair play finanziario e alla fine non se l’è sentita di continuare nel braccio di ferro e a malincuore ha detto basta. E proprio l’uscita del Milan, ha finito con il mettere in ginocchio le altre tre sorelle che adesso sono rimaste sole a combattere una partita dove rischiano davvero grosso.

La Juve di Agnelli, rimane legatissima a Florentino Perez e al suo Real, insieme al Barcellona. Ceferin, presidente della Uefa, è stato chiaro: dentro o fuori, concetto ribadito anche dal numero uno della Fifa Gianni Infantino. Ma l’asse Madrid-Barcellona-Torino non recede e come quei giapponesi sull’isola deserta, continuano a combattere una battaglia che non c’è, che non c’è mai stata e mai ci sarà. Ma i danni, li pagheranno solo loro. O meglio, la Uefa ha “perdonato” i club ribelli, distinguendo il loro impegno. Gli inglesi sono usciti subito e hanno chiesto scusa e avranno un trattamento. Saranno puniti a livello finanziario, così come Atletico, Inter e Milan che subiranno solo sanzioni economiche. Poi arriveranno i “botti” per le altre tre.

E il monito arriva anche dal numero uno del calcio italiano, che in attesa di conoscere quale sarà la risposta Uefa ai secessionisti, avanza ipotesi cupe per i bianconeri: “Le norme sono chiare: se al momento dell’iscrizione al prossimo campionato la Juventus farà ancora parte della Superlega non potrà partecipare alla Serie A. Dispiacerebbe per i tifosi ma le regole sono regole: valgono per tutti”. Anche se l’obiettivo principale di Gravina, è quella di fare da mediatore presso la Uefa. Ma anche la Juve deve fare il suo, ovvero un passo indietro e uscire dalla SuperLega.

Tutto si deciderà la prima settimana di giugno, prima dell’inizio di Euro2020. In questo frangente, la diplomazia è al lavoro per evitare il peggio, che tradotto in soldoni significa squalifica certa per due anni dalle coppe europee. Dalle tre roccaforti secessioniste, rilanciano e parlano di “minacce inqualificabili”, andando avanti nel progetto SuperLega. Si consumerà tutto dopo la finale Champions del 29 maggio, quando, a bocce ferme, Nyon prenderà la decisione di sbattere fuori i tre amici che rimarranno soli al bar. E se entro fine mese non arriveranno rinunce nelle quali il mondo del calcio ancora spera, saranno dolori amplificati, perché Real, Juve e Barcellona, si ritroveranno a fare i conti con gravi problemi finanziari che diventerebbero montagne da scalare in mancanza degli introiti champions.

Nyon è chiara, il fronte secessionista, altrettanto. Agnelli, Perez e Laporta vogliono andare avanti perché la Superlega rappresenta l’ancora di salvezza per club indebitati all’inverosimile. Che invece avrebbero trovato una via di fuga con i 3,5 miliardi di euro che il nuovo fondo americano è pronto ad investire per la SuperLega. Come vincere facile, spendere e trovare qualcuno pronto a saldare debiti, noncuranti che lo sport, il calcio, è passione. Chi vince va avanti, solo la meritocrazia del campo, non quella approvvigionata da verdetti già scritti. Quindici club sicuri, gli altri cinque a rotazione da scegliere ogni anno. Come se l’Atalanta, che da tre anni è stabilmente in Champions per meriti sportivi, debba raccomandarsi a qualche santone del nulla, per vedere il City o il Liverpool al Gewiss Stadium. Non ci siamo. Qualcuno avverta i “giapponesi” del calcio, che la guerra è finita. Anzi, non è mai cominciata.

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