Comunicare la pandemia
Firma storica di Avvenire(dove è stato capo della redazione romana e inviato speciale) e del Mattino di Napoli, Angelo Scelzo ha ricoperto gli incarichi più importanti nella comunicazione vaticana. Sottosegretario al dicastero per le comunicazioni sociali, vice-direttore dell’Osservatore Romano, direttore dell’agenzia Fides, responsabile delle comunicazioni per gli eventi del Grande Giubileo del 2000, vicedirettore della Sala Stampa della Santa Sede. Afferma Scelzo a Interris.it: “La pandemia ha sconvolto, più di quanto noi stessi riusciamo ad accorgercene, il nostro modo di vivere. E anche di pensare. Il modo in cui emergenza ci viene ‘comunicata’. Imponendo le pur necessarie misure di contenimento e restrizioni”.
Conflitto
Tutto ciò, aggiunge Scelzo, “introduce un rapporto inevitabilmente conflittuale tra il potere pubblico (in questo caso le istituzioni di salvaguardia) e il cittadino. Già normalmente si è di fronte a un dialogo difficile. La natura non solo specialistica ma per certi versi ‘misteriosa’ della pandemia, non fa che rendere ancora più ardua una tale relazione. Così, anche da questo lato, finisce per allargarsi quel fossato che rende le istituzioni sempre più lontane. O come in questo caso, incomprensibili. È un prezzo indiretto che si paga ai tanti che la pandemia impone a viso aperto e in modo brutale e drammatico”.
Nuovo vocabolario
Osserva Scelzo a Interris.it: “La poderosa, quasi sterminata, produzione di “Dpcm” (Decreti della presidenza del Consiglio) in quest’anno e più di pandemia, resterà come uno dei documenti storici. A testimonianza del tempo della pandemia. In quei provvedimenti è possibile rintracciare i vari e diversi significati di tutto il vasto vocabolario creato a corredo dell’emergenza. Anche il lockdown, che pure lessicalmente ha un significato definito, viene coniugato a seconda dei tempi e delle circostanze“.
Prosegue Scelzo: “L’introduzione delle fasce di colore, allarga poi ulteriormente anche le fasce di ‘significati’. Con una specifica di provvedimenti e restrizioni legate a singole zone e territori. Nonostante un’informazione quasi ossessiva (o forse proprio a causa di essa) riesce difficile collegare in maniera esatta i colori. Allo schermo, anch’esso variabile, delle diverse possibilità. La ‘zona rossa’ di una regione non sempre è uguale a quella dell’altra. E i parametri attraverso i quali si ‘colorano le aree, pur essendo uguali alla partenza, danno poi luogo ad applicazioni del tutto differenti”.C’è il rischio di una nuova Torre di Babele?
“In questo quadro, la confusione comunicativa può essere la sola cornice possibile. Si è di fronte a un problema serio che impone di rivedere forse alla radice il comparto tutto particolare di quell’informazione di servizio. Che rappresenta sempre più un elemento di sicurezza e salvaguardia sociale”.In pandemia si accrescono le disuguaglianze?
“Si tratta di una realtà evidente. La metafora di essere tutti sulla ‘stessa barca’ è assolutamente giusta. Nel senso che nessuno può salvarsi da solo. Ma occorre anche aggiungere che non tutte le barche sono attrezzate allo stesso modo. Non tutte hanno la stessa solidità e capacità di carico. C’è anche un altro fattore”.Quale?
“Pur all’interno della stessa barca esistono posti in cui è più facile salvarsi. E altri che, in caso di tempesta, non offrono scampo. La pandemia ha brutalmente calcato la mano su un divario sociale già forte e intollerabile. Lo ha reso estremo. Ha infierito sulle debolezze e sulle fragilità. Operando un’orribile, innaturale e inumana selezione. Tra forti e deboli. Garantiti e precari. Ricchi e poveri”.Può farci un esempio?
“La pandemia è andata ben oltre uno ‘strappo” sociale’. Allargando, per esempio, il campo di una povertà che ora si misura con parametri diversi. Mai tante file alle mense delle Caritas e degli organismi di assistenza. Mai tanti volti nuovi, gli ‘esordienti’ di un disagio sociale che invece di arrestarsi, avanza. E mostra i guasti della società dello squilibrio e dei divari istituzionalizzati. In questo senso il Covid è stato molto più che un altro ‘campanello d’allarme’. Ha rappresentato piuttosto il sigillo. Il timbro a secco su un fallimento già in atto”. I mass media si pongono la questione della comprensibilità per il grande pubblico dei meccanismi che regolano le dinamiche di potere in pandemia?
“E’ una questione complessa. Io credo che i media abbiano certamente avvertito il problema. Se non altro come forma di ‘autodifesa’ del proprio lavoro. Hanno cioè avvertito l’esigenza di una maggiore chiarezza. Rendendosi conto della difficoltà che una comunicazione del genere poneva al loro impegno. Ancora più complicata si presenta la questione di un’informazione capace di svelare i meccanismi di potere. Che pure agiscono in presenza di crisi di così vaste proporzioni”.A cosa si riferisce?
“Il rischio di essere essi stessi parte di un certo sistema non può essere escluso. Anche al di là di una consapevole adesione. Ma l’emergenza, almeno per ora, ha spazzato via molte domande. Nel senso che forse è mancato il tempo di poter approfondire le modalità, i tempi. Perfino lo spazio di una comunicazione così straordinaria. Sia sul piano quantitativo che qualitativo”.Perché?
“La pandemia è stato come uno ‘tsunami’ che ha invaso direttamente le pagine dei giornali. Gli schermi delle tv. I siti dei web. E tutta la galassia dei social. Senza lasciare un attimo di requie e di respiro. Sarà certo interessante, e diventerà forse un documento d’epoca, un’analisi”.Quale?
“Una retrospettiva che della comunicazione ai tempi della pandemia, sarà fatta in futuro (e qualcosa è già cominciato ). Per ora occorre prendere atto che il virus ha colpito e ‘contagiato’ in molti modi, anche la comunicazione. Non poteva essere altrimenti”.