Oggi la lebbra è stata ridimensionata. Grazie ai progressi della medicina. Ma colpisce ancora oltre 200 mila persone all’anno. Lasciando in molte di loro i segni della disabilità. Tre milioni di individui sono segnate dalla lebbra per tutta la vita. Secondo i dati pubblicati dall’Organizzazione Mondiale della Sanità. Padre Pierre-Marie Bulgo, è un missionario Camilliano. Dirige il lebbrosario che i religiosi gestiscono a Ouagadougou, in Burkina Faso. Ha rivolto alcune riflessione all’agenzia missionaria vaticana Fides. In occasione della 68° Giornata mondiale dei malati di lebbra, che si è celebrata domenica scorsa.
La lebbra provoca emarginazione
“I segni lasciati dalla malattia rendono, il più delle volte, queste persone emarginate da paure e pregiudizi. Che non sono stati ancora del tutto sconfitti”, spiega padre Pierre-Marie Bulgo. In Burkina Faso la lebbra è ancora presente e diffusa. La lebbra, benché oggi sia curabile, si sviluppa ancora in regioni povere. Dove è carente la sanità di base in grado di prevenire il contagio e l’insorgere della malattia. L’India e il Brasile, da soli, rappresentano il 70% dei casi di lebbra nel mondo. Dura da oltre 40 anni l’impegno dei missionari Camilliani in Burkina Faso. Accanto a uomini e donne che vivono con la lebbra.
Lontani dalle famiglie
“La principale causa di sofferenza per le persone affette dalla lebbra è l’esclusione sociale. Anche quando si riesce a guarire da questa malattia, il reinserimento sociale, spesso, è difficoltoso”, osserva il responsabile del lebbrosario di Ouagadougou. E aggiunge: “Di solito, la maggior parte dei nostri pazienti non ha intenzione di tornare alla famiglia di origine. Perché afferma di aver trovato una nuova famiglia in cui non si sente stigmatizzato”. Racconta padre Bulgo: “Nel nostro Centro di accoglienza curiamo le ferite provocate dalle lesioni cutanee e delle dermatosi di cui soffrono. Forniamo loro aiuti alimentari grazie a donatori locali ed esteri”.
Supporto
Sottolinea il missionario Camilliano: “Cerchiamo di ricreare un ambiente in cui possono sentirsi amati e supportati. Li sosteniamo anche per il loro reinserimento sociale. È importante puntare verso un rinnovamento culturale. Che educhi le coscienze e sviluppi una cultura dell’assistenza. E’ questo l‘impegno della Chiesa nella lotta contro l’esclusione e la stigmatizzazione. Per contrastare il tribalismo. Per prevenire i conflitti intercomunitari. Per annunciare il Vangelo della fraternità e dell’amore”.