Il conflitto armato in Etiopia scaturito tra il governo centrale di Addis Abeba e il Fronte Popolare di Liberazione del Tigray, nonostante l’apparente cessazione, sta causando conseguenze nefaste e sofferenze indicibili tra la popolazione civile inerme divenendo a tutti gli effetti un dramma umanitario che ha causato e sta causando molte vittime e numerose migrazioni interne ed internazionali.
Tanto premesso, il presente conflitto, sta assumendo conseguenze ancora più drammatiche per i profughi eritrei emigrati in Etiopia – in particolare nella regione del Tigray – prima dell’inizio delle ostilità in quanto, allo stato attuale, oltre 6 mila rifugiati eritrei sono stati arrestati e rimpatriati forzatamente a seguito di interventi mirati da parte dei militari di Asmara nella regione in oggetto, nonostante gli stessi siano negati dal premier etiope e dal suo omologo eritreo.
In particolare, è utile ricordare che, dal 1993 ad oggi, hanno trovato rifugio in Etiopia oltre 100 mila rifugiati eritrei in fuga dal regime dittatoriale instaurato da Isaias Afewerki grazie ai campi profughi allestiti con l’impegno profuso dall’agenzia ONU per i rifugiati o UNHCR.
Purtroppo, dopo l’inizio del conflitto nella regione del Tigray e la concomitante pandemia da Covid-19, complice la chiusura delle frontiere che ha causato una drastica riduzione degli aiuti internazionali, l’emergenza umanitaria ha subito una notevole recrudescenza tramutando la pace siglata nel 2018 tra Eritrea ed Etiopia in una sorta di alleanza militare contro la regione autonomista tigrina che permette ad entrambi i paesi di eliminare l’opposizione interna ed in particolare, per quanto riguarda il governo eritreo, di punire aspramente i disertori dell’esercito fuggiti in Etiopia.
In ultima istanza, alla luce di quanto precedentemente esemplificato, è fondamentale che le istituzioni internazionali preposte diano vita a dei corridoi umanitari e inviino in loco un contingente militare internazionale con l’obiettivo di preservare l’incolumità della popolazione civile e soprattutto tutelare i profughi già provati da sofferenze immani in ossequio al fulgido appello alla pace formulato dalla Conferenza Episcopale della Chiesa etiope in proficua sinergia con i vescovi cattolici dell’Eritrea ricordando nel contempo il pensiero di Papa Giovanni Paolo II che disse: “La pace non può regnare tra gli uomini se prima non regna nel cuore di ciascuno di loro”.