Contro la “cultura di morte” della criminalità organizzata c’è una battaglia culturale da combattere. Ha recentemente suscitato scalpore il via libera della magistratura tedesca all’uso dei nomi dei martiri anti-mafia per una catena di pizzerie. E al boss cinematografico “don Corleone” sarà dedicata la riscrittura, da parte del regista Francis Ford Coppola, della sceneggiatura del terzo episodio della saga del Padrino. L’arcidiocesi di Monreale è incessantemente impegnata a indirizzare le nuove generazioni verso la strada della reazione morale alla mafia. Sia in ambito ecclesiale che civile il suo Pastore, monsignor Michele Pennisi è un saldo riferimento nel contrasto alla criminalità organizzata. La testimonianza a Interris.it di Carmela Mancuso, una giovane cattolica in prima linea nel contrapporre la legalità e rispetto della vita alla cultura di morte delle mafie.
Per una cultura della vita e della legalità
L’arcidiocesi di Monreale, per mezzo della Caritas diocesana e in partenariato con Confcooperative Sicilia, ha promosso e sta gestendo un progetto di valorizzazione e gestione dei beni culturali ecclesiali a Corleone, comune-martire della protervia mafiosa. “Questa terra sarà bellissima” è un progetto di sviluppo di comunità, sostenuto con i fondi 8xmille. Con l’obiettivo generale di sostenere un processo di riappropriazione di una identità positiva da parte degli abitanti di Corleone. E di risanamento di ferite identitarie e sociali, generate dalla storia recente. Un impegno che la Chiesa ha messo al primo posto.Cosa significa avere a Corleone radici, presente e futuro?
“Nascere e crescere a Corleone è probabilmente sia una sfida sia un’opportunità. Essere giovani qui significa tanto trovarsi di fronte ad una sfida quanto ad un’opportunità. Un’opportunità se si considera il nome, il suo essere famoso nel mondo, che ci piaccia o no, che ci renda fieri o no, e quindi l’idea di poter sfruttare questa opportunità a nostro vantaggio. Dall’altra ogni genere di iniziativa o di attività qui rappresenta una sfida. Ci si deve credere davvero, perché senza la motivazione non si va da nessuna parte”.Con la pandemia la cultura solidale della vita e della legalità acquista maggiore spazio di riflessione nelle coscienze?
“Diciamo che sarebbe più desiderabile, ma non saprei dire se è effettivamente così. Vivere in un paese ha pro, come quello di conoscersi, di potersi supportare a vicenda, di stringere sincere amicizie. Ma ha contro il sentirsi più esposti al pericolo, come nel caso della pandemia che stiamo vivendo, il sentire il rischio di poter essere contagiati stesso dalle persone che si conoscono. E la paura non è mai un sentimento solidale”.La fede è un antidoto alla cultura di morte?
“Per me sì, ma non soltanto nei momenti di difficoltà. Personalmente vivo una fede forte sempre, quando sto bene ringrazio e quando ci sono ostacoli davanti cerco di trarre da questa la forza”.La Chiesa aiuta Corleone a rinascere valorizzando il proprio patrimonio. Lungo quali direttrici?
“Quello che gli ultimi anni ci hanno mostrato è fondamentalmente un turismo autonomo locale che sembra in costante crescita. La gente viene a Corleone per Corleone, forse senza nemmeno informarsi o sapere cosa aspettarsi. Vengono a prescindere dalle iniziative turistiche, mentre è questo che per noi diventa una potenzialità da sfruttare”.Può farci un esempio?
“Il nostro progetto di gruppo è quello di lasciare al turista ricordi di una Corleone inaspettata, artistica. Diversa dal titolo di ‘capitale della mafia’ che è tanto conosciuto nel mondo. Monsignor Pennisi e tutta la diocesi di Monreale per noi rappresentano certamente una grande opportunità. Ci stanno offrendo l’occasione di sviluppare un progetto lavorativo che ci motiva e ci coinvolge positivamente per il futuro. Non possiamo che esserne grati”.