«So io che cosa farò, perché ci sia qualcuno che mi accolga in casa sua» «Scio quid facĭam, ut recipĭant me in domos suas»
Venerdì 6 novembre – XXXI settimana del tempo ordinario – Lc 16, 1-8
In quel tempo, Gesù diceva ai discepoli: «Un uomo ricco aveva un amministratore, e questi fu accusato dinanzi a lui di sperperare i suoi averi. Lo chiamò e gli disse: “Che cosa sento dire di te? Rendi conto della tua amministrazione, perché non potrai più amministrare”. L’amministratore disse tra sé: “Che cosa farò, ora che il mio padrone mi toglie l’amministrazione? Zappare, non ne ho la forza; mendicare, mi vergogno. So io che cosa farò perché, quando sarò stato allontanato dall’amministrazione, ci sia qualcuno che mi accolga in casa sua”. Chiamò uno per uno i debitori del suo padrone e disse al primo: “Tu quanto devi al mio padrone?”. Quello rispose: “Cento barili d’olio”. Gli disse: “Prendi la tua ricevuta, siediti subito e scrivi cinquanta”. Poi disse a un altro: “Tu quanto devi?”. Rispose: “Cento misure di grano”. Gli disse: “Prendi la tua ricevuta e scrivi ottanta”. Il padrone lodò quell’amministratore disonesto, perché aveva agito con scaltrezza. I figli di questo mondo, infatti, verso i loro pari sono più scaltri dei figli della luce».
Il commento di Massimiliano Zupi
L’amministratore infedele ha una sola preoccupazione: trovare chi lo accolga in casa propria. Ha scoperto di non essere autosufficiente: è questa la conversione profonda che ha compiuto, il motivo per il quale viene lodato dal padrone. La sua gioia non è più riposta nell’accumulo: ha compreso che nulla è suo e tutto gli sarà tolto. Ha scoperto che la gioia vera viene solo dall’essere accolti: come bambini, abbiamo bisogno di braccia che ci proteggano incondizionatamente; come stranieri e pellegrini, abbiamo bisogno di case che ci ospitino gratuitamente. Là dove si realizzi questa accoglienza gratuita, è già il regno dei cieli.
Ma come fare appunto per trovare chi ci accolga in casa propria? Paradossalmente, usando quei soldi a disposizione e quella posizione, che sono pur sempre ricchezza disonesta (finché ci sarà anche un solo povero e bisognoso, il nostro benessere sarà comunque ingiusto): servendoci di questi mezzi iniqui, possiamo procurarci simili amici.
La scaltrezza dell’amministratore disonesto consiste in questo ribaltamento: utilizzare il denaro ed il potere non per accumulare, ma per donare; non per dominare ed opprimere, ma per servire e liberare. Liberarsi della struttura ingiusta del mondo è impossibile: viviamo in questo mondo. Però è possibile servirsi di quella struttura secondo una logica diversa, evangelica: siamo in questo mondo, ma possiamo non essere di questo mondo.