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Gramaglia: “L’Italia non è immune al terrorismo, vi spiego perché”

E’ di poche ore la notizia, diffusa dai media austriaci, della rivendicazione da parte dell’Isis dell’attentato terroristico di Vienna, costato la vita a quattro persone e all’attentatore. Lo jihadista, sembra di origini albanesi, ha sparato sulla folla ferendo 22 persone di cui sette in pericolo di vita. Quattordici, ad oggi, gli arresti nella caccia a complici e fiancheggiatori.

Hebdo e Bataclan

La tragedia nella capitale austriaca ha riportato alla memoria eventi recenti quali l’attentato alla redazione del giornale satirico “Charlie Hebdo” – avvenuto il 7 gennaio 2015 a Parigi – e quello alla “sala da spettacolo” parigina del Bataclan del 13 novembre dello stesso anno. Passando poi per una lunga scia di sangue che dalla Francia ha toccato tragicamente anche il Belgio, la Gran Bretagna, gli Stati Uniti e la Germania, solo per citare alcuni Paesi.

Ora quell’incubo – che con la sconfitta dello Stato Islamico sembrava un ricordo lontano – è invece ricominciato. Per avere un quadro chiaro degli ultimi eventi e delle eventuali similitudini con gli attacchi di 5 anni fa, la giornalista di In Terris, Milena Castigli, ha intervistato un esperto di questioni internazionali: il dottor Giampiero Gramaglia.

Biografia

Nato a Saluzzo (Cn) il 22 giugno 1950, Gramaglia è giornalista professionista da molti anni. Ha lavorato – tra le altre cose – per trent’anni all’ANSA, di cui é stato anche corrispondente da Bruxelles, Parigi, Washington e direttore dal 2006 al 2009.  E’ direttore di AffarInternazionali.it, il webzine dell’Istituto Affari Internazionali. Collabora con vari media. Dirige i corsi di giornalismo alla Ifg di Urbino. E’ presidente di Infocivica e segretario generale dell’European Press Club (EPC).

Numerose anche le pubblicazioni. Ha scritto “Complici. La relazione pericolosa tra l’Italia e il regime di Gheddafi” (Eir, 2011), un libro sulle relazioni tra Italia e Libia, con Luigi Garofalo. “Tutti i Rivali del Presidente. I candidati repubblicani contro Obama” (Eir, 2011) una guida a Usa 2012. L’ebook “Usa 2016: alla fine rimasero in due Hillary e Donald” (Italic Digital Editions, 2016) una guida a Usa 2016, con Gabriele Rosana.

L’intervista

Parigi, Nizza, Avignone, Vienna…L’Europa sta vivendo una nuova ondata di azioni terroristiche dopo quelle del 2015?
“Gli attentati di Vienna evocano per la loro dinamica, ma per fortuna non per il numero delle vittime, la notte del Bataclan di Parigi. Ma, al di là delle apparenze, non penso che si possa tirare una linea di continuità tra il 2015 e il 2020”.

Perché?
“Perché gli attentati di quella fase – che comprendevano azioni terroristiche oltre che in Francia anche in Belgio, Germania e Gran Bretagna – hanno poi conosciuto un momento di lunga stasi. Adesso invece assistiamo a una serie di eventi in Francia – nello specifico: Parigi, Nizza e Avignone – e in Austria – Vienna – che, se non collegati a un’unica organizzazione, sembrerebbero almeno correlati nel tempo e nelle motivazioni”.

“Parlando ancora di differenze – prosegue il dottor Gramaglia – la serie di attentati del 2015 avvenivano in una fase in cui sul territorio tra Siria e Iraq il sedicente Stato Islamico (o ISIS) era ancora vitale e capace di impegnare in un conflitto armato sul campo i suoi antagonisti. Adesso, al contrario, l’Isis non è più territorialmente riconoscibile, anche se ha ancora basi operative dall’Afghanistan all’Iraq, dal Pakistan al Nord Africa, così come in Siria. Ma non ha più quella capacità militare che aveva 5 anni fa”.

Ci sono altre differenze importanti tra le due “ondate” di attentati?
“Sì: la storia personale dei nuovi attentatori è molto diversa. Abbiamo il ragazzo ceceno di Parigi che è cresciuto in una famiglia quasi radicalizzata (ma in questa fase i condizionali sono d’obbligo) nonostante frequentasse una scuola pubblica francese e avesse compagni e amici che vivevano in un contesto laico”.

L’attentatore di Nizza?
“Poi c’è l’attentatore di Nizza che, invece, era appena arrivato in Europa ed era già radicalizzato. Non è dato sapere se abbia ucciso tre persone per rabbia personale o seguendo uno schema falsamente richiamato alla religione”.

Infine, Vienna…
“Quest’ultimo attacco terroristico, rispetto a quelli di Parigi e Nizza, rappresenta un salto di qualità. Sia per quel che concerne l’organizzazione, sia per la pericolosità. A Parigi e a Nizza l’attentatore era uno solo. Il primo è stato neutralizzato dalla polizia, il secondo è stato ferito e arrestato dalle forze dell’ordine. A Vienna invece c’è stata una cellula che ha agito con intelligenza”.

Secondo lei, c’è una ‘regia occulta’ dietro i diversi attentati? Vale a dire: sono stati ordinati e coordinati da una organizzazione centrale oppure sono il frutto di una serie di azioni concatenate di imitazione e stimolo reciproco, ma casuali?
“Non è ancora possibile dare una risposta precisa a questa domanda. Lo si capirà col prosieguo delle indagini, anche transnazionali”.

Finora ha evidenziato le differenze. Pensa ci sia un fil rouge, vale a dire degli elementi accomunanti tra i vari attentati di queste settimane?
“Sì. Il filo rosso che lega tutte le trame terroristiche, che siano concertate o siano azioni individuali, è il filo dell’intolleranza verso l’altro: verso chi la pensa diversamente, chi non si adegua a uno specifico credo. Non solo religioso, ma anche razziale, istituzionale o altro. Questo è il fil rouge che lega tutti i terrorismi”.

Anche quelli italiani dei cosiddetti “anni di piombo”?
“Sì. Noi italiani siamo abituati al terrorismo del secolo scorso che era più di matrice ideologico-politica che ideologico-religiosa. Il terrorismo del radicalismo islamico del XXI secolo ha comunque la stessa radice di intolleranza che si traduce in un mancato rispetto dell’altro, fino ad arrivare a non avere rispetto della sua la vita”.

“Il secondo elemento che caratterizza il terrorista dal ribelle o dall’insorto o dal combattente – prosegue il dottor Gramaglia – è che l’obiettivo del terrorista è scelto a caso (e dunque non è un obiettivo simbolico) al fine di creare terrore tra la gente. Quindi, i due elementi comuni che legano i terrorismi di ogni epoca sono l’intolleranza e la casualità della scelta delle vittime”.

Alcuni dei terroristi sono immigrati o rifugiati provenienti dall’estero, mentre altri sono ragazzi di “seconda generazione”. Pensa che ci sia un problema di integrazione in Europa?
“Bisogna fare un distinguo. All’epoca degli attentati del 2015, si era evidenziato come, nei Paesi con una storia di immigrazione più consolidata nel tempo (in particolare la Francia) il problema dell’integrazione si ponga più per la ‘seconda generazione’ che non per i nuovi immigrati o per i loro genitori”.

Perché?
“Perché la prima generazione di immigranti ha il problema di sopravvivere: deve trovare un lavoro, un alloggio, integrarsi per ottenere i documenti e magari la cittadinanza. In pratica, vuole inserire se stesso e l’eventuale famiglia nel contesto di una società che sente e vive come un approdo: un salto di qualità rispetto alle possibilità lasciate nel Paese d’origine. I ragazzi nati da genitori stranieri ma in territorio europeo hanno un background del tutto diverso e hanno molte più aspettative. Inoltre, vedono le distanze tra la condizione – spesso di marginalità – della propria famiglia e il benessere delle altre. Si sviluppa così una rabbia che i genitori non hanno mai sperimentato”.

L’attentatore ceceno di Parigi che si è radicalizzato in famiglia fa eccezione?
“Sì. In alcuni casi, la radicalizzazione avviene tra le mura domestiche. L’attentatore ceceno è cresciuto in un contesto familiare, tra l’altro non nord-africano, che ha partecipato ed alimentato la radicalizzazione del figlio, creando i presupposti del gesto terroristico. Questo può avvenire quando le famiglie d’origine sono eccessivamente attaccate alle proprie radici e non riescono ad accettare le novità e i costumi del Paese ospitante. Ne abbiamo avuto esempi anche in Italia. Penso alle ragazze che volevano vivere una vita ‘all’occidentale’: uno stile di vita più libero che però non veniva accettato dalle famiglie d’origine. Storie purtroppo finite anche tragicamente”.

In Italia attentati terroristici come quelli francesi non sono mai avvenuti. Per quale motivo? Fortuna, casualità, meno conflitti interni o la presenza numericamente esigua di ragazzi di “seconda generazione”?
“Direi tutte queste cose insieme. Ma vorrei sottolineare che anche in Italia potrebbe potenzialmente accadere un attacco terroristico: non siamo un Paese strutturalmente immune. Però il fatto che abbiamo servizi di intelligence interna e forze dell’ordine che funzionano molto bene – furono gli italiani ad intercettare il terrorista della strage al mercatino di Natale di Berlino – sommato agli elementi da lei citati ha fatto sì che, almeno ad oggi, non ci siano stati in Italia episodi gravi. Però non dimentichiamoci che qualche caso lo abbiamo avuto anche noi: ci sono state diverse persone – anche degli italiani – che sono partite per la Siria per combattere per l’Isis! Quindi: mai abbassare la guardia, perché non siamo immuni dal contagio integralista”.

Le violenze sono nate dopo la pubblicazione di vignette dissacranti contro Maometto su una rivista satirica, pubblicate in nome della liberà di stampa e di espressione. Pur non giustificando in nessun modo le violenze, crede che ci debba essere un limite ‘di decenza’ anche nella satira o la libertà di espressione dovrebbe essere garantita sempre e comunque?
“La libertà di espressione va garantita sempre e ovunque. Ma, al contempo, andrebbe garantito anche il diritto di dissentire da espressioni di questa libertà che però risultano lesive del buon gusto, della sensibilità delle persone e a volte della legge stessa”.

A suo parere, qual è la carta vincente contro il terrorismo?
“La carta vincente contro ogni forma di terrorismo e di intolleranza – che fanno leva entrambi sulla paura del diverso – è la speranza. Offrire speranza – di riscatto, di una vita migliore, di poter cambiare in meglio il proprio destino… – è il miglior antidoto contro il terrore”.

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