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Pillola abortiva, l’opinione del magistrato

In poche settimane i provvedimenti di due organi amministrativi facenti capo al ministero della Salute – il 12 agosto il Direttore generale della prevenzione sanitaria, l’8 ottobre il Direttore generale dell’Aifa – agenzia italiana del farmaco – hanno fornito un importante contributo alla privatizzazione della vicenda abortiva e alla deresponsabilizzazione dei minori. Il primo ha varato Linee di indirizzo che estendono l’assunzione della c.d. pillola abortiva, la RU 486, fino al compimento della nona settimana di gestazione – il limite precedente era la settima settimana -, e al di fuori del contesto ospedaliero. Il secondo ha adottato una Determina che permette alle minorenni l’acquisto senza prescrizione medica, già possibile per le donne maggiorenni, di EllaOne, prodotto impropriamente definito “contraccettivo di emergenza”, che in realtà impedisce l’annidamento dell’ovulo, se fecondato.

In entrambi i casi contro la legge. Quanto alla RU 486, composto chimico sicuramente abortivo, l’art. 8 della l. 194/1978 stabilisce al comma 1 che l’ivg “è praticata da un medico del servizio ostetrico-ginecologico presso un ospedale generale, senza distinguere ai fini della ospedalizzazione fra le svariate modalità di esecuzione dell’aborto, e quindi includendo quello farmacologico, secondo quanto ritenuto dal ministero della Salute prima del 12 agosto scorso; l’art. 19 punisce al comma 1 con la reclusione fino a tre anni “chiunque cagiona l’interruzione della gravidanza senza l’osservanza delle modalità indicate negli artt. 5 o 8”. La conclusione è che seguire le nuove “linee di indirizzo” fa commettere un reato: e se dall’ivg derivano lesioni per la donna – le complicanze da RU 486 sono documentate – il reato è sanzionato più gravemente. Al di là della responsabilità penale, è comunque certa la responsabilità civile del medico e della struttura che abbiano somministrato il composto chimico al di fuori della procedura di cui all’art. 8. Si aggiunga, sempre ai fini della responsabilità, che le linee di indirizzo aggiornate coinvolgono nella procedura abortiva farmacologica i consultori, cui invece l’art. 2 della 194 affida la fase della prevenzione: applicarle vuol dire egualmente violare la legge e porre le basi per azioni risarcitorie sul piano civile.

Quanto a EllaOne, se si ritiene che incida solo sulla contraccezione – senza prendere in considerazione che un prodotto eventualmente antinidatorio può provocare un precocissimo aborto – sarà necessario spiegare quale logica lega un sistema nel quale il maggiorenne che chieda in farmacia un analgesico, che assume da decenni, se lo veda negato qualora sia privo di ricetta medica; mentre la minore può farsi consegnare senza prescrizione un prodotto il cui foglietto illustrativo (https://www.ellaone.it/foglietto-illustrativo/) elenca serie controindicazioni ed effetti collaterali: facendo così affidamento, senza la verifica di un medico, su una capacità di intendere e di volere (a 17 anni, a 15, a 12?) che per legge non esiste.

Per non parlare, in entrambi i casi, dell’abbandono della donna a sé stessa. In nome di una ideologia abortista che il ministero della Salute afferma in spregio, oltre che alla tutela della vita del concerto, alla salute della donna, alla ragionevolezza e al rispetto delle leggi.

Alfredo Mantovano, vice presidente del Centro studi Rosario Livatino

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