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La storia di Abou, migrante morto a 15 anni

La morte del giovane, impone una nuova riflessione sull'emergenza delle rotte migratorie. Su un punto in particolare: chi fugge per mare arriva sempre in condizioni di sofferenza

Abou Dakite aveva 15 anni quando è stato soccorso in mare dalla ong Open Arms. Come tutti gli occupanti del barchino, era denutrito, infreddolito e debole. Per questo motivo quando vengono soccorsi, i migranti hanno sempre bisogno di strutture adeguate che gli possano garantire le cure necessarie e dove i loro diritti vengano rispettati. Il ragazzo è poi morto in ospedale. Per evitare quello che è successo accada di nuovo la Open Arms ed Emergency hanno deciso di diffondere un comunicato con alcune “precisazioni sullo stato di salute di Abou, mentre era a bordo della Open Arms”, spiegando anche che aveva avuto un episodio di febbre, forse per un’infezione, ma si era ripreso e che era risultato negativo due volte al tampone.

Insomma, non si trattava di Covid. Secondo il medico di Emergency presente a bordo al momento del salvataggio, Abou non riportava alcun tipo di particolare sintomo, se non una forte denutrizione. Il ragazzo aveva inoltre numerose cicatrici, ma secondo lo staff medico delle ong le cicatrici sugli arti di Abou non sembravano riconducibili a torture o maltrattamenti recenti, ma risalenti al periodo dell’infanzia. Quindi, secondo le ong, quando è stato trasferito sulla nave quarantena “al momento dello sbarco, Abou sembrava stare meglio: era salito sul rhib con le sue gambe e comunicava sia con lo staff, sia con gli altri ragazzi”. Invece poco più di due settimane dopo è morto.

Una riflessione per aiutare chi arriva per mare

Quello che è capitato ad Abou Dakite non si tratta di una eccezione che conferma la regola, bensì della regola stessa. Infatti chi emigra, ed in particolare chi fugge per mare arriva sempre in condizioni di sofferenza. Per questo motivo é necessario non solo una maggiore disponibilità economica per garantire le strutture adatte alla cura dei migranti e alla tutela della loro salute, ma anche di accoglienza da parte di noi cittadini, anche solo mostrando la nostra disponibilità. Ci troviamo in una situazione in cui non si può solo accogliere un migrante nel proprio Paese, ma che si abbiano anche i giusti mezzi per garantire il soccorso e la sicurezza per chi arriva. La storia di Abou deve farci riflettere su una giovane vita che – a soli quindici anni – aveva già sperimentato tutti i dolori della vita. E far capire a tutti noi il dovere della accoglienza e della solidarietà.

Porti sicuri e sbarchi immediati per garantire la salute e sicurezza

Lo stesso medico, che ha seguito il ragazzo da quando è stato soccorso, lo ha visitato più volte, notando che presentasse qualche linea di febbre, ma che generalmente le condizioni generali erano migliorate. Nonostante ciò ha lo stesso deciso di somministrargli una dose di antibiotico e di fargli un trattamento reidratante, sottoponendolo al secondo test per il Covid-19, che è risultato ancora negativo. Abou é sempre stato seguito e per questo motivo la sua improvvisa morte é stata una sorpresa per tutti. “Siamo profondamente addolorati per la morte di Abou e rimaniamo in attesa di capirne le ragioni”, commentano le ong, ricordando: “Le persone che soccorriamo sono tutte in condizioni di salute precarie, hanno subito abusi e violenze, hanno affrontato giorni di attesa in mare. Ribadiamo pertanto la necessità che vengano fatte sbarcare in un porto sicuro nel più breve tempo possibile e che venga loro permesso di trascorrere i giorni di quarantena in strutture adeguate dove vengano garantite loro le cure necessarie e dove i loro diritti vengano rispettati”.

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