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Reddito di cittadinanza: un bene o un male per il mondo del lavoro?

Dall’inizio dell’estate, incontrando gestori di bar, di ristoranti, di alberghi e b&b, agricoltori e imprese edili ed altri che hanno attività economiche di ogni tipo, mi sono imbattuto con un argomento che non pensavo potesse diventare così imbarazzante, al punto dal rimettere in discussione convincimenti profondissimi, di quelle che ci condizionano tanto culturalmente e sono penetrati nella nostra mentalità e nel nostro cuore. Insomma il problema che così tanto fa scandalo, riguarda la circostanza tanto acclarata che da quando il Governo giallo verde, poi confermato da quello attuale giallorosso, ha varato il reddito di cittadinanza assommatosi al reddito di emergenza a favore di persone che non avrebbero un lavoro, è diventato arduo trovare qualcuno disponibile a lavorare nelle loro aziende.

Se capita poi ogni tanto che qualcuno di costoro si rende disponibile a lavorare, puntualmente, ci si trova di fronte ad un vero e proprio paradosso: è molto probabile che ti chieda di lavorare in nero. Simile richiesta, ovviamente, viene fatta giacché avendo ottenuto il reddito di cittadinanza e di emergenza, l’eventuale rapporto di lavoro formale, rimetterebbe in discussione il reddito statale garantito.

Francamente devo dire che nella mia esperienza ero abituato alla idea che ha richiedere un rapporto di lavoro in “nero” fossero i datori di lavoro e non i lavoratori, fatto che, insisto, stravolge totalmente le nostre convinzioni sulle dinamiche del mercato del lavoro.

Altre volte ho avuto modo di sottolineare la inopportunità di strumenti di sostegno come quello del reddito di cittadinanza, a ragione del fatto che non ponendo l’obbligatorietà della condizione di non poter rifiutare un lavoro, quasi sempre diventa più conveniente non accettare un lavoro che il contrario. Peraltro è notorio che gli uffici pubblici che si occupano del “collocamento”, (rapporto tra domanda e offerta) come gli uffici per l’impiego, non brillano certamente per capacità di collegamento con le imprese per poter offrire qualche assunzione, nonostante fior fiori di miliardi improvvidamente stanziati per questi uffici. Né la situazione è cambiata per l’assunzione di migliaia di cosiddetti “navigator”, che pur inesperti avrebbero dovuto dare aiuto agli uffici per l’impiego.

E’ certo dunque che l’esempio che si sta dando, non è tra i più edificanti. Svaluta la cultura del lavoro, e l’economia ne soffre sia perché le aziende incontrano difficoltà ad organizzare l’impresa, sia perché il bilancio pubblico subisce altri debiti perché vengono impiegate risorse senza che queste vengano ripianate da nuove che si producono. In un paese normale queste anomalie sarebbero state già risolte; speriamo che succeda presto. Anche perché queste imprese lamentano che ormai fanno fatica a trovare disponibilità di persone ad essere impegnati nei loro lavori.

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