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Mes o non Mes: questo è il dilemma

Dovremo ancora combattere perché siamo forze diverse e distinte ma non abbiamo paura di combattere: combatteremo sulla sanità pubblica perché ancora dovete convincerci sul perché non ricorrere al Mes”. Così Nicola Zingaretti ha rivendicato, chiudendo a Modena il Festival nazionale dell’Unità, la non subalternità del Pd agli alleati di governo. C’era un precursore del Romanticismo il quale teorizzava che “la caccia val più della preda”.  Ma in politica valgono altre regole: non basta avere ragione; bisogna riuscire a farsela dare.

Vedremo come l’iniziativa del Pd riuscirà, dopo le elezioni regionali, ad ottenere quei risultati che gli sfuggono da mesi, visto che il suo alleato (sempre meno) “pentastellato” continua a fischiettare il solito motivetto della inutilità del Mes. Peraltro la consultazione elettorale di domenica e lunedì non si annuncia foriera di particolari successi per l’alleanza di governo, tanto meno per il M5S che corre, tranne che in Liguria (dove comunque è sicura la sconfitta del candidato unitario della coalizione di governo), in altezzosa solitudine.

Intanto è diffusa l’inquietudine per il trend del contagio che continua ad essere uno scomodo compagno di strada (e di vita) in Italia come nel resto del mondo. Da Israele è arrivato l’avviso allarmante di un ritorno del lockdown. L’opinione pubblica non ha una rappresentazione compiuta della situazione del Covid-19. I telegiornali e i talk show continuano a rassegnare i consueti bollettini di guerra, magari derubricando la notizia dall’apertura (dove è stata per mesi) ad una posizione intermedia nel palinsesto. E si segue il “cammino della speranza” del vaccino, mentre sarebbe più importante concentrarsi sulle terapie, un campo dove sono stati compiuti dei notevoli passi in avanti.

Se siamo destinati a “convivere” con il virus venuto dal freddo, prima di pensare di neutralizzarlo con un vaccino, è più ragionevole trovare i mezzi per curarlo nel miglior modo possibile. Sotto questo profilo, è bene rendere consapevole l’opinione pubblica che il sistema sanitario non è più nelle condizioni dei primi mesi dell’anno, quando le strutture ospedaliere venivano prese d’assalto da persone affette da una infezione polmonare violenta e sconosciuta che non lasciava loro scampo.

Ora – come ha detto l’insigne patologo Giuseppe Remuzzi in una intervista a il Foglio – il Servizio sanitario può contare su 8mila posti in terapia intensiva, utilizzati solo per l’1,5%. Ed ha aggiunto che, se anche arrivassimo al numero dei ricoverati in Francia, sarebbe comunque occupato solo il 5% dei letti disponibili. Una situazione del tutto diversa da quando era necessario stabilire delle priorità anche a costo di mettere a rischio delle vite.

Ci sono però altri gravi problemi che restano sottotraccia. Il più importante dei quali riguarda la riapertura delle scuole. Per quanti sforzi si facciano per mettere in sicurezza il personale scolastico e gli studenti, il rischio zero non esiste. Sorgeranno problemi che andranno affrontati senza panico. Tutti sappiamo però che le preoccupazioni sono enormi. La scuola è la prova di quanto sia sbagliato aver rinunciato al Mes (che ammetteva il finanziamento delle spese sanitarie indirette, come, senza alcuna riserva, la sanificazione degli edifici scolastici). Abbiamo assistito all’impegno del personale nel “fare da sé”; e sarà questo impegno la nostra “linea del Piave”. Poi, in autunno, arriverà l’influenza stagionale, anch’essa contagiosa e virulenta.

Ormai ci siamo abituati a considerare tutti i decessi come se fossero provocati dal Covid anche nei casi in cui concorrano altre gravissime patologie. Occorrerà quindi – e il ruolo della medicina territoriale sarà determinante, mentre non lo è stato nei primi mesi del contagio – attrezzarsi a distinguere, altrimenti ogni raffreddore o colpo di tosse verrà scambiato per un sintomo del virus malefico. Sarà assolutamente necessario ampliare la copertura della vaccinazione antinfluenzale, che è a disposizione da decenni, possibilmente rendendola obbligatoria per i soggetti a rischio. Infine, occorre rimediare agli effetti collaterali provocati dal coronavirus, il più serio dei quali riguarda le decine di migliaia (se non di centinaia di migliaia) di interventi chirurgici rimandati, di accertamenti non effettuati e quant’altro. Un giorno forse sarò consentito di conoscere quante morti “indirette” ha provocato il contagio.

Del resto – ecco un’altra ragione per aderire al Mes – nei nosocomi i posti in terapia intensiva non sono “in aggiunta”, ma corrispondono, nella generalità dei casi, ad una riconversione dei posti preesistenti. Che ora mancano per la cura delle patologie a cui sono stati sottratti.

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