“La Chiesa è forza di dialogo e di mediazione perché non ha interessi propri da affermare. La sua azione è in certo senso gratuita, mirando semplicemente al bene comune e alla ‘salus animarum‘ che significa anche salvaguardare la dignità umana. Questospiega a Interris.it il professor Roberto Morozzo Della Rocca, ordinario di Storia contemporanea all’Università RomaTre, tra gli storici più autorevoli del cristianesimo. Tra i suoi numerosi saggi sulla geopolitica della fede, una fondamentale biografia del cardinale Agostino Casaroli, padre della della ostpolitik vaticana e segretario di Stato di San Giovanni Paolo II fino alla caduta del Muro di Berlino. Una figura particolarmente significativa da ricordare a quarant’anni dall’Atto Finale della Conferenza di Helsinki.
La Chiesa come forza di dialogo
Dopo l’intervento dell’arcivescovo di Fabriano e Camerino, Francesco Massara contro la desertificazione industriale in uno dei distretti industriali più importanti d’Italia, Interris.it ha intervistato il professor Morozzo della Rocca sull’impegno della Chiesa a favore delle fasce più deboli della popolazione.
Come sullo scacchiere internazionale, anche nelle questioni sociali la Chiesa è forza di mediazione e di dialogo. Su quali basi storiche e dottrinarie poggia questo ruolo?
“Il ruolo di mediazione sociale si è sempre manifestato nella storia della Chiesa. Dai tempi degli imperatori alle moderne democrazie. In particolare nelle questioni sociali – e qui parliamo di lavoro, salute, educazione, giustizia, pace, vita – la Chiesa ha sempre sostenuto i diritti umani. Che per essa non sono propriamente i diritti dell’individuo in senso liberale. Ma i diritti comuni, collettivi, per l’appunto sociali, ovvero diritti a esistenze degne senza pregiudizio per i deboli e i fragili”.A cosa si riferisce?
“L’affermazione dei diritti individuali in senso liberale significa spesso l’affermazione di chi è più forte, attrezzato, competitivo. I diritti sociali significano la tutela della società nel suo insieme senza esclusioni. I diritti sociali tutelano i malati, gli immigrati. E i bambini non ancora nati, gli anziani, i disoccupati, le famiglie, i disabili, i poveri, ecc. Non si tratta esattamente dei protagonisti e dei beniamini della società liberale”. Ora a Fabriano, Taranto e Torino come in passato a Ivrea e Pomigliano d’Arco, il vescovo diventa “defensor civitatis” nelle emergenze sociali?
“I vescovi che si pongono a fianco dei lavoratori esprimono il sentire sociale della Chiesa. Ci sono sempre stati. In tempi antichi non c’era l’economia complessa di oggi. Ma quando san Giovanni Crisostomo oppure san Stanislao di Cracovia esigevano giustizia per i deboli dinanzi ai potenti non si comportavano in modo diverso dai vescovi che oggi chiedono di non sottomettere il lavoratore all’interesse e alla speculazione. Oppure di non sacrificare le tutele al guadagno. ‘Defensor civitatis’: questa antica designazione romana del magistrato che difendeva la plebe è passata nell’uso comune a indicare l’uomo di Chiesa. Il vescovo che difende il popolo. La difesa della vita, ad esempio, nella vicenda di Roma città aperta valse il titolo di ‘defensor civitatis a Pio XII. Così anche la difesa del lavoro, che è pane e dignità, può ben valere l’attribuzione di questo titolo. Se condotta con assoluta abnegazione”. La dottrina sociale della Chiesa è “trasversale” alle componenti politiche e sindacali di una società?
“La dottrina sociale della Chiesa si pone su un piano diverso dalla politica. E soprattutto dalla lotta partitica. Non disprezza la politica ma le pone delle esigenze morali. Tutti i gruppi politici possono riprendere i principi della dottrina sociale cattolica. Che si ritiene fondata su un diritto naturale ma anche su una riflessione di diritto positivo. In realtà vediamo che ci sono partiti più vicini al sentire sociale della Chiesa. E altri più lontani. L’economia e l’opinione pubblica pressano le forze politiche a scelte spesso contrastanti con la dottrina sociale della Chiesa”.Può farci un esempio?
“Si pensi nella recente vicenda della pandemia Covid-19 che in Italia ha falcidiato tanti anziani negli istituti. Proliferati a causa di interessi finanziari e anche di quella che papa Francesco ha definito ‘la cultura dello scarto’. Quale partito ha contrastato il business dell’istituzionalizzazione degli anziani. Oppure ha osato contestare la cultura dello scarto promuovendo una idea più nobile della vita e della famiglia?”.
La mediazione in una crisi industriale è una funzione civile di un’istanza religiosa?
“Il lavoro fa parte del destino dell’uomo, secondo le parole che Dio rivolge a Adamo dopo la caduta. “Con il sudore del tuo volto mangerai il pane”. Ma anche è consustanziale alla dignità umana e religiosa. La regola benedettina parla di ‘ora et labora’. Che non significa che si deve pregare sempre, anche mentre si lavora. Ma che la vita è fatta sia di preghiera sia di lavoro. Due attività distinte entrambe necessarie. E se l’uomo non corrisponde a quella parola di Dio che lo destina a versare il sudore del suo volto, sopravviene l’idolatria di se stesso. La dimenticanza della propria dimensione sociale. L’impazzimento nella bolla dell’ego. Per questo la Chiesa sente di dover tutelare il lavoro in ogni modo. Anche, nel mondo di oggi. Mediando tra datori di lavoro e lavoratori”.Cioè?
“Il poter disporre di un lavoro, l’essere occupato, è già per se stesso un valore. A prescindere dall’equità del compenso o del guadagno. Senza lavoro, come ho detto, l’uomo si abbrutisce. Smarrisce i riferimenti morali. Si concentra su se stesso. Ha un’involuzione psichica. E perde il senso della vita che è fraternità, solidarietà, comunione. E allora, sì, possiamo ben dire che la mediazione in una crisi industriale è una funzione civile di un’istanza religiosa”.