Nelle catechesi del mercoledì, Jorge Mario Bergoglio dialoga con il popolo di Dio riflettendo sulle Scritture. Testimoniare il Vangelo della misericordia è la missione di Papa Francesco. Nel definire l’essenza della Chiesa e il suo mandato, il numero introduttivo della Costituzione dogmatica sulla Chiesa, “Lumen Gentium“, la definisce in poche e dense parole. Afferma, infatti, che essa “è in Cristo, in qualche modo il sacramento, ossia il segno e lo strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano”.
La Chiesa, che non potrebbe sussistere se non nella comunione
con Cristo, suo Signore e sposo, scaturisce dal disegno
e dall’opera della Trinità. E dell’unità di Dio deve essere il riflesso e il segno visibile. Ora, tale unità, come avviene nella stessa vita trinitaria, si realizza nell’amore. Della misericordia divina, quindi,
la Chiesa deve essere l’annunciatrice e prima ancora la trasparente
ricettrice. Essa che è stata generata dall’effusione pasquale dello Spirito, che è l’amore stesso di Dio. L’amore è, dunque, la prima, e in fondo l’unica, vocazione della Chiesa. E’ Gesù stesso che lo ha insegnato proclamando il comandamento della carità. Solo attraverso l’amore, infatti, la Chiesa può realizzare il suo compito di essere strumento di unità per il genere umano. Per papa Francesco ripensare all’altissima vocazione ricevuta in Cristo sbalordisce l’essere umano, richiamandolo all’urgente necessità di vivere la carità in ogni momento. Facendo di essa il motivo propulsore di ogni iniziativa ecclesiale e il parametro di verifica di ogni attività pastorale. È questa consapevolezza che ha spinto Francesco a celebrare un Anno Santo straordinario. E a caratterizzarlo, per straordinaria intuizione, con un tema specifico, a differenza dei precedenti.
La testimonianza giubilare di papa Bergoglio ci ricorda alla misericordia di Dio, grazie alla quale possiamo vivere con speranza. Ci spinge a verificare se viviamo o meno noi stessi secondo misericordia. E ci porta a ripensare a tutto il vivere ecclesiale, in modo che divenga uno specchio, quanto più possibile terso. Capace di riflettere l’amore ricevuto. Ecco che l’iniziativa di Francesco (l’anno Santo della misericordia) si colloca nella linea del Concilio e
ne incentiva l’accoglienza e l’attualizzazione. Solo una Chiesa
che pone al centro la misericordia, infatti, può essere veramente
se stessa. E riscoprendo la centralità dell’amore potrà vivere
secondo lo spirito indicatole dal Concilio e farsi vera promotrice
di unità.
La Chiesa deve realizzare l’unità anzitutto al suo interno. Per poterla testimoniare credibilmente e diffondere nella società e tra i popoli. Di questo era ben consapevole Giovanni XXIII il quale, anche grazie al suo trascorso di diplomatico, ha sollecitato e accresciuto la sensibilità ecumenica. Una sensibilità riflessa nella “Unitatis Redintegratio“, il decreto sull’ecumenismo dal Concilio Vaticano II e promulgato nel ’64 da San Paolo VI. In stretta connessione al desiderio di incontro e dialogo con le religioni non cristiane, espresso nella “Nostra Aetate“, la dichiarazione conciliare sul tema del senso religioso. Francesco è pienamente in linea con i suoi predecessori. E anzi ne accentua il desiderio di comunione e di incontro. Perciò, nel tentativo di creare unità e fraternità, Francesco compie gesti significativi e fecondi. Come lo storico incontro con il patriarca russo Kirill, oltre ai numerosi incontri con i rappresentanti di altre
religioni. Nelle udienze generali del mercoledì il Pontefice ne parla con i fedeli. Ed è proprio, in questo intenso e ispirato confronto settimanale, che vengono scritte alcune delle pagine più belle del pontificato della misericordia.