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Santa Clelia Barbieri, “l’operaia della dottrina cristiana”

“Impressiona il vertice di santità raggiunto in un tratto di tempo così breve: Clelia è la più giovane fondatrice della storia della Chiesa. La sua vicenda dimostra che la santità delle anime è opera della grazia divina, non della strategia e della cultura umana”. Sono le parole di Giovanni Paolo II durante la canonizzazione di Clelia Barbieri, nata nel 1847 a San Giovanni in Persiceto (Bologna), in una contrada chiamata “le Budrie”, da una famiglia fervente cristiana.
In soli 23 anni di vita si è donata totalmente al Signore, come altre sante – Giovanna D’Arco, Caterina da Siena,Teresa del Bambin Gesù – salite al cielo molto giovani. Clelia, ricevuto il battesimo poche ore dopo essere venuta alla luce ed educata ai lavori domestici e alla preghiera, un giorno chiede alla sua genitrice: “Mamma, come posso essere santa?”. Il giorno della Prima comunione ha un’esperienza mistica sentendo forte su di sé l’angoscia del peccato che crocifigge Gesù e addolora la Vergine Maria.
Desidera spendersi per la Chiesa e partecipa attivamente alla vita parrocchiale suscitando stupore per le sue capacità e la sua carità. Più precisamente diventa “operaia della dottrina cristiana”, come a quel tempo vengono chiamati i catechisti nell’arcidiocesi bolognese.
Riesce poi ad aggregare un nucleo di ragazze votate alla vita contemplativa e apostolica; un servizio che scaturisce dall’Eucarestia e si concretizza nell’istruzione dei contadini e dei braccianti del luogo.
Inizia così la famiglia religiosa di Clelia Barbieri che i superiori in seguito chiameranno “Suore Minime dell’Addolorata”. Nelle lunghe ore che passa dinanzi al Tabernacolo chiede a Gesù di diventare sempre più capace di amare e donarsi. Impara così a servire i più poveri, i malati e a stare accanto ai moribondi che hanno bisogno di cure e di assistenza. Insegna il catechismo non solo in parrocchia e nella sua casa, ma si reca presso le famiglie dove ci sono bambini e ragazzi da istruire e ovunque
porta il Vangelo con la parola e con la vita. “Sento dentro di me un amore così grande verso il Signore – afferma – che mi pare di vederlo; cercate anche voi di volergli bene”.
Nel ritiro delle Budrie si respira un clima di fede, una vera fame e sete di Dio, un istinto missionario pieno di creatività e di fantasia. Il gruppo iniziale lievita e attorno a esso anche il numero di poveri, malati, ragazzi e ragazze da catechizzare e istruire. A poco a poco la gente vede Clelia in un ruolo di guida, di maestra nella fede. Cominciano così, nonostante i suoi 22 anni, a chiamarla “Madre”.
Due anni dopo la fondazione si ammala gravemente di tisi. Dice alle consorelle: “Io me ne vado ma non vi abbandonerò mai… Vedi, quando là in quel campo d’erba medica accanto alla chiesa, sorgerà la nuova casa, io non ci sarò più… Crescerete di numero e vi espanderete per il piano e per il monte a lavorare la vigna del Signore. Verrà giorno che qui alle ‘Budrie’ accorrerà tanta gente, con carrozze e cavalli”.
Prima della sua dipartita, avvenuta il 13 luglio del 1870, fa ancora in tempo a dire alle sue “compagne di viaggio”: “Me ne vado in paradiso e tutte le sorelle che moriranno nella nostra famiglia avranno la vita eterna”. Il cardinale Giorgio Gusmini, primo biografo della santa, scrive: “Chi l’ha veduta, ammirata in quegli anni, dice che se Iddio avesse mandato sulla terra uno degli Angeli della sua corte, quell’Angelo non avrebbe potuto vivere vita più bella, più santa, più feconda di bene per sé e per gli altri, di quella vissuta da Clelia Barbieri”.

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