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Cardinale Czerny: “Resistiamo insieme al virus o tutti siamo esposti all’infezione”

Intervista di Interris.it al cardinale Michael Czerny sulle conseguenze dell'emergenza coronavirus sulla condizione dei migranti

“Il coronavirus è proprio questo: un grido dell’umanità e del pianeta. La solidarietà globale è necessaria subito, in questo momento, e da lì scaturiranno i buoni cambiamenti, le riforme e il rinnovamento”, spiega a Interris.it il cardinale Michael Czerny, sottosegretario della Sezione Migranti e Rifugiati del Dicastero vaticano per il Servizio dello Sviluppo umano integrale.

Il cardinale dei migranti

Il gesuita Michael Cezny come stemma ha scelto l’immagine di una barca con quattro persone. Nel 2009, Benedetto XVI lo ha nominato adiutor (esperto) al Sinodo dei vescovi per l’Africa. Dal 2010 è consulente al pontificio consiglio della Giustizia e della Pace. Nell’ottobre 2018 è stato membro del Sinodo dei giovani. Papa Francesco, che ha deciso di guidare direttamente la sezione del dicastero per il Servizio dello sviluppo umano integrale che si occupa di profughi e migranti, lo ha prima nominato suo collaboratore, con la qualifica di sottosegretario, poi lo ha creato cardinale.

Papa Francesco ha ripetutamente invocato una globalizzazione della solidarietà. In che modo l’emergenza sanitaria si aggiunge ad altre emergenze, quali la migrazione?

“Quando qualcuno grida per invocare aiuto, non posso rimanere indifferente, devo rispondere senza indugio. È un’emergenza. Da un’emergenza può sempre affiorare qualcosa di nuovo, un nuovo tipo di risposta. Come ha detto il Santo Padre, ‘quanto è difficile rimanere a casa per chi vive in una piccola abitazione precaria o per chi addirittura un tetto non ce l’ha. Quanto è difficile per i migranti, per le persone private della libertà…’. Queste sono grida di aiuto”.

A cosa si riferisce?

“Le crisi (la fame, coronavirus, la guerra, la disoccupazione, la distruzione dell’ambiente, l’insicurezza) non sono effettivamente distinte e separate, sebbene tendiamo a vederle in questo modo. In realtà, siamo in presenza di un’unica crisi che ha molteplici ramificazioni, ma che possiamo ricondurre ad un’unica radice: la totale mancanza di rispetto per la dignità tanto di ogni essere umano, quanto della comunità e del creato.Cinque anni fa, nella Laudato Si’, il Santo Padre ha sottolineato come sia inutile e controproducente separare i problemi sociali da quelli ecologici. Oggi, a causa del coronavirus, la loro deleteria correlazione appare più che mai visibile, “terribile”, in quanto gli uni influiscono negativamente sugli altri, li accelerano, li rendono più dannosi e pericolosi”.

Foto © Vatican Media

Può farci un esempio?

“In tali circostanze, quelle stesse persone che sono già costrette a fuggire, a motivo della pandemia avvertono l’urgenza di lasciare i propri paesi. Se da una parte il coronavirus le costringe a scappare, dall’altra impedisce loro la fuga. Un ulteriore paradosso è dato dal fatto che, proprio mentre il covid-19 rende queste persone più necessarie alle società occidentali, queste ultime non sono disposte ad accoglierle e a proteggerle adeguatamente. Il concatenarsi di questi diversi aspetti costituisce un ulteriori motivo per levare un disperato grido di aiuto!”.

Che impatto ha la pandemia sulle dinamiche sociali degli aiuti ai migranti e agli sfollati interni?

“Generalmente, i rifugiati e gli sfollati interni mostrano di essere più vulnerabili al virus. Ciò è dovuto al fatto che si trovano già ad affrontare deprivazioni di ogni sorta. Tuttavia, nonostante la loro vulnerabilità, hanno ridotte probabilità, se non addirittura alcuna possibilità, di accedere alle cure sanitarie. In condizioni “normali”, le società tendono ad ignorarli, li nascondo alla propria vista, ma nell’era Covid-19, scopriamo che non è più possibile adottare simili strategie evitanti: o resistiamo insieme al virus o tutti siamo esposti all’infezione. È una lezione importante!”.

Foto © Vatican Media

Cosa si può apprendere dall’emergenza sanitaria? 

“Il Santo Padre nel suo messaggio di Pasqua Urbi et Orbi ha affermato: ‘La crisi che stiamo affrontando non ci faccia dimenticare tante altre emergenze che portano con sé i patimenti di molte persone. Il Signore della vita si mostri vicino alle popolazioni in Asia e in Africa che stanno attraversando gravi crisi umanitarie…Riscaldi il cuore delle tante persone rifugiate e sfollate, a causa di guerre, siccità e carestia. Doni protezione ai tanti migranti e rifugiati, molti dei quali sono bambini, che vivono in condizioni insopportabili’. Da queste parole si evince come le diverse crisi si aggravino reciprocamente ed il coronavirus renda ancor più difficile del solito accogliere, assistere e proteggere le persone vulnerabili, che non risultano integrate nelle nostre società. Ciò vale sia per coloro che sono arrivati di recente, come anche per i poveri e gli emarginati di lungo termine, di casa nostra’. Le opportunità di lavoro per i migranti sono molto cambiate a causa dei vari provvedimenti messi in atto per rispondere alla pandemia, a cominciare dalla chiusura dei confini”.

A chi pensa in particolare?

“Sono numerosissimi i migranti che lavorano come badanti, collaboratori domestici, braccianti agricoli e impiegati nel settore dei servizi. Molti di loro sono lavoratori “informali”, sprovvisti di regolare contratto o di un adeguato sostegno sociale. L’emergenza del coronavirus li ha improvvisamente lasciati senza lavoro e senza alcuna assistenza. Per quali ragioni non possiamo prenderci cura dei nostri fratelli e sorelle?”

Il coronavirus può essere un’opportunità per pianificare una società più accogliente nei confronti dei migranti poveri?

“Sì! Da un’emergenza, da una tragedia può emergere il nuovo, il giusto, il buono. Il primo passo è rispondere ai bisogni; allo stesso tempo, dobbiamo impegnarci nel riconsiderare gli errori che continuiamo a ripetere e, diversamente, ripensare il futuro, contribuendo a migliorarlo. È fin troppo evidente il rischio di agire nella direzione opposta. Come attuale è il rischio di globalizzare l’indifferenza, ovvero, di chiudere le porte del nostro cuore all’altro, di chiuderci in noi stessi. Abbiamo tutti sperimentato una qualche forma di vulnerabilità (dall’appartenenza ad una data classe sociale, al gruppo etnico, alla religione, all’età, al genere, ecc.) e questo fatto può permetterci di aprire gli occhi su quanti finora sono rimasti invisibili, marginali, superflui”.

Quali sono i segnali di ciò?

“Già dall’inizio di aprile, la Sezione Migranti e Rifugiati ha pubblicato un bollettino settimanale volto a diffondere la “buona novella”, cioè le tante iniziative pratiche intraprese da gruppi locali cattolici per continuare a servire i più vulnerabili, nonostante le condizioni imposte dalla pandemia. Non siamo parlando di attività astratte, di filosofia o di idealismo, ma di risultati concreti con cui si è colta l’opportunità di accogliere, proteggere, promuovere e integrare coloro che hanno bisogno di aiuto in queste nuove circostanze. Prestiamo attenzione ai nostri fratelli e alle nostre sorelle che devono scappare e migrare per sopravvivere. Grazie a Dio, in molti si stanno adoperando per rendere “virale” l’amore e globalizzare la speranza. Uniamoci a loro, interrogandoci su cosa guiderà le nostre azioni in futuro: saranno i valori che ci rendono persone migliori o sarà la grettezza dei nostri portafogli egoisti?”.

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