Tra le diverse lettere che giungono in redazione prestiamo particolare attenzione a quelle che pongono problemi di interesse generale ovvero a quelle che per l’argomento trattato meritano una opportuna divulgazione. Appartiene a questo secondo gruppo la lettera di un padre di due figli affetti da diversa disabilità, concepiti con due donne diverse a distanza di numerosi anni: il primo, ventenne, autistico, il secondo, di otto anni, affetto da una malattia genetica dello sviluppo. La lettera, pur rimarcando l’indifferenza ancora diffusa nei confronti di chi non è in grado di attendere autonomamente alle proprie funzioni primarie, concentra l’attenzione sulla incapacità dello stato di supportare le esigenze fondamentali dei disabili e dei loro familiari, giacché la gestione di questi soggetti è affidata unicamente alle famiglie ed alle forme, pur disparate in concreto, di supporto economico all’assistenza.
Cura e sviluppo
Il primo elemento che viene alla mente è appunto il concetto di assistenza, che si concretizza in genere come supporto economico di accompagnamento, mentre rari sono gli istituti di accoglienza giornaliera dei disabili che abbiano a cuore non solo lo scarico delle famiglie di appartenenza dal tempo quotidiano di attenzione ma anche, e principalmente, la cura e lo sviluppo di questi individui che vanno considerati ammalati a tutti gli effetti. Il punto in esame è dirimente: lo stato offre denaro sotto forma di indennità di accompagnamento (la cui misura oggi è attestata ad € 520,29) a chi è riconosciuto totalmente invalido (come le ipotesi di cui parliamo) ed altre modiche provvidenze, oltre ad alcune pur significative esenzioni fiscali, e contribuisce ad un sostegno economico per gli istituti di accoglienza per disabili, in cui sovente, però, l’attività fornita è di tipo assistenziale: in sostanza, gli invalidi vengono parcheggiati in appositi istituti di accoglienza con generiche forme di intrattenimento per impegnare il tempo.
Esigenze concrete
Il genitore che ci scrive, invece, lamenta la carenza quasi generalizzata di strutture che impieghino le risorse pubbliche, pur non indifferenti in quanto arrivano alla erogazione di € 146 al giorno per ogni disabile, in attività prettamente sanitarie e sociosanitarie, di cui i disabili hanno effettivo bisogno, e cioè cure, impieghi per l’apprendimento, attività educative e di sviluppo secondo programmi adeguati di istruzione e di crescita, come anche di gioco e di sport. In sostanza, i disabili psichici e dello sviluppo vengono o abbandonati presso le famiglie di appartenenza, cui viene erogato un modesto contributo economico assolutamente inadeguato a sopperire alle esigenze concrete sia del disabile sia della famiglia che se ne occupa, oppure vengono sistemati a parcheggio presso strutture convenzionate in cui le attività sono sostanzialmente di tipo assistenziale per il loro intrattenimento.
L’intrattenimento non basta
In tal modo si nega qualunque rispetto e considerazione, prima ancora che concreto aiuto alle persone che, invece, ne hanno maggiore bisogno; costoro, infatti, sono sostanzialmente ammalati e necessitano innanzitutto di cure, sia mediche sia psichiche, per migliorare non solo le loro condizioni primarie di vita ma per consentire a costoro, che non ne hanno le possibilità dirette, di fruire delle numerose attività cui adeguare il livello decoroso della vita umana. Non basta, infatti, intrattenere i disabili presso i centri di accoglienza impegnandoli in attività sostanzialmente futili, con un paio di accompagnatori per gruppi di dieci individui: occorre che ciascuno dei disabili abbia un proprio specifico istruttore per ogni attività, destinata al suo personale sviluppo, nonché l’attenzione di cure sanitarie psichiche specifiche ed individuali, quali logopedia psicomotricità, indispensabili per alimentare la crescita comportamentale ed il raggiungimento di traguardi comportamentali.
L’educazione sociale
Insomma, rivolgersi ai disabili genetici con l’attenzione che merita ogni persona bisognosa di apprendimento comportamentale e culturale, ponendosi l’obiettivo della crescita con risultati graduali da conseguire, per migliorare le loro condizioni di vita e non soltanto per alleviare le famiglie dall’impegno di sostenerli. In questa direzione deve rivolgersi l’educazione sociale, che risente della considerazione pubblica del fenomeno, ma l’azione pubblica di supporto a questi soggetti deve doverosamente e consapevolmente essere orientata non solo e soltanto al sostegno economico ma anche e principalmente alle cure necessarie al miglioramento individuale: solo con questa determinazione si potrà conseguire il corollario del dovuto maggior rispetto nei confronti di chi ha minori capacità fisiche e relazionali.