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Rohingya, lo spettro del Covid-19 su Cox’s Bazar

L'allarme di Azione contro la Fame: "L’inadeguatezza dei mezzi di sussistenza e la scarsa condizione nutrizionale è una ulteriore criticità"

“Solo adesso stiamo iniziando a rilevare il numero dei casi ma non sappiamo in che termini i contagi cresceranno nel prossimo futuro”. E’ un allarme drammatico e dalle fattezze purtroppo ancora non definitive quello di Azione contro la Fame, che torna a ribadire la possibilità di una grave progressione della pandemia nei campi profughi dove sono confinate le minoranze Rohingya del Bangladesh. A Cox’s Bazar specialmente, il più grande campo del mondo, dove sono 855 mila i civili dell’etnia Rohingya stanziati in 34 insediamenti di fortuna. Un’area in difficoltà estrema, già prima dell’emergenza coronavirus, e dove il virus rischia di prendere piede in modo incontrollato, esasperando una situazione già al limite per intere comunità: 29 i casi finora accertati nel campo, 381 nel Cox’s Bazar District, l’area dove sorge, in un contesto dove oltre il 40% della popolazione soffre di malnutrizione cronica.

Rohingya e virus, è allarme

Un allarme che rappresenta un’emergenza nell’emergenza: “Sia a Cox’s Bazar che all’interno del campo profughi è molto difficile dare seguito alle misure di contenimento per far fronte alla diffusione del Covid-19”. Così Mahadi Muhammad, direttore di Azione contro la Fame a Cox’s Bazar, che riferisce di una situazione di estrema difficoltà, che il coronavirus potrebbe aggravare in modo sensibile, anche in caso di una diffusione non estrema come in altre aree del mondo. Questo in virtù delle condizioni generali nelle quali vivono le famiglie Rohingya arrivate nel campo dopo l’esodo forzato del 2017: “Stiamo parlando di un territorio che presenta una elevata incidenza di povertà. In tanti non dispongono di abitazioni adeguate all’isolamento. Inoltre, specialmente nei mercati, le persone entrano in contatto con altre senza le dovute contromisure. Il campo, inoltre, è, davvero ‘congestionato’ ed è la ragione per cui c’è un alto rischio legato a una possibile propagazione della pandemia. Solo adesso stiamo iniziando a rilevare il numero dei casi ma non sappiamo in che termini i contagi cresceranno nel prossimo futuro”.

Sforzi intensificati

A Cox’s Bazar, così come nell’intero distretto dove il campo sorge, AcF sta disponendo una serie di interventi per cercare di garantire perlomeno le condizioni essenziali di isolamento e igiene: “L’inadeguatezza dei mezzi di sussistenza e la scarsa condizione nutrizionale è una ulteriore criticità che riguarda sia la popolazione bengalese di Cox’s Bazar sia i rifugiati Rohingya – ha aggiunto Muhammad – Più in generale, qui affrontiamo, contemporaneamente, più di una criticità. Basti pensare all’impatto dell’esodo dei Rohingya, iniziato qualche anno fa, ma anche agli effetti del recente ciclone sulla zona. Dobbiamo dare il meglio per rendere le persone resilienti in una situazione in cui si verifica una ‘compresenza’ di emergenze, che mettono a dura prova la salute mentale delle popolazioni”. Al lavoro, in questa zona, 1.248 operatori e 1.555 volontari, i quali agiscono pur nelle limitazioni del lockdown, specie nell’installazione di ulteriori punti di accesso all’acqua, potenziando il sistema di distribuzione che, al momento, conta 289 punti: “In questa situazione, con la chiusura delle piccole imprese locali, abbiamo distribuito, dal 25 marzo ad oggi, 13.000 pasti pronti ai più vulnerabili. Tali attività non hanno fermato i nostri programmi sul versante della nutrizione e della diagnosi della malnutrizione, su mamme e bambini”.

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