“Wake up”, “Svegliamoci”. E’ questo lo slogan lanciato dai vertici Onu e dalla testimonial vip, la cantante Billi Eilish, nel video diffuso in occasione della Giornata mondiale dell’ambiente 2020. Quest’anno sarà dedicata alla biodiversità che “è la base che sostiene tutta la nostra vita sulla terra e sott’acqua, riguarda ogni aspetto della salute umana, fornendo aria e acqua pulite, cibi nutrienti, conoscenze scientifiche e fonti di di medicina,resistenza naturale alle malattie e mitigazione dei cambiamenti climatici. La modifica o la rimozione di un elemento di questa rete influisce sull’intero sistema vita e può produrre conseguenze negative”, spiega l’Onu che, nel 1972, ha proclamato questa giornata con l’istituzione del Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente.
L’emergenza Covid e la natura che si riappropria dei suoi spazi
Dall’inizio della pandemia e il lockdown che ha interessato per diversi mesi molti Stati, è risultato ancora più evidente come la presenza umana influisca sulla natura. Nel nostro Paese, si sono verificati degli episodi che hanno sorpreso tutti, sia per il repentino cambiamento dello spazio che ci circonda, che per la velocità con cui la natura si è riappropriata dei suoi spazi. A Venezia, non lontano da Piazza San Marco, una grande medusa, ben visibile, ha nuotato a pochi centimetri dalla superficie. Si è potuto osservarla perché l’acqua dei canali era limpida, effetto dello stop della circolazione nautica. Al largo dell’Isola D’Elba, il giorno di Pasqua, è stata avvistata una balenottera di circa 20 metri diretta, molto probabilmente al Santuario Pelagos.
L’avvertimento del’Onu
La natura, ha avvertito l’Onu, “ci sta inviando un messaggio”. “Quando distruggiamo la biodiversità, distruggiamo il sistema che supporta la vita umana – ricorda l’Onu -. Oggi si stima che, a livello globale, circa un miliardo di casi di malattia e milioni di morti di verificano ogni anno a causa di malattie causate da coronavirus; e circa il 75% di tutte le malattie infettive emergenti nell’uomo sono zoonotiche, cioè trasmesse alle persone dagli animali”.
L’intervista
Quinto anniversario dalla pubblicazione della Laudato Si’, cambiamenti climatici, cura del creato, ma anche cosa dovrebbero fare gli Stati per attuare questo cambio di rotta e tutelare maggiormente l’ambiente. Sono questi gli argomenti che Interris.it ha affrontato con Stefania Falasca, giornalista vaticanista ed editorialista di “Avvenire”.
Oggi si celebra la giornata mondiale dell’ambiente. Quanto ancora dobbiamo imparare a rispettare e curare la nostra terra?
“Per imparare a rispettare e curare la nostra casa comune, come credenti e cristiani cattolici, è importante comprendere che si tratta di una dimensione della fede. Non è un’azione aggiuntiva alla vita ecclesiale, ma una sua manifestazione sostanziale. Il Patriarca ecumenico di Costantinopoli Bartolomeo, pioniere nel far comprendere che la cura del creato è un’istanza di fede biblica, citato all’inizio della Laudato Si’, afferma che si tratta di un servizio liturgico. Per cui tutte le iniziative della Chiesa in questo senso sono ecclesiologia applicata. Questo per spiegare quanto sia importante la dimensione della fede e per far comprendere che l’emergenza ecologica è parte della missione di liberazione integrale a cui è chiamata la Chiesa che vuole essere fedele al Vangelo. E’ necessario capire che è una questione di fedeltà al Creatore, Dio ha creato il mondo per tutti. Guardare questa realtà ci offre la possibilità di riscoprire il dono della difesa della vita, affinché non sia soggiogata al lucro e al guadagno con i quali si devasta l’ambiente e andiamo verso l’autodistruzione”.
Lo scorso 24 maggio Papa Francesco ha lanciato l’anno della Laudato si. Che significato ha questa iniziativa?
“Un anno speciale, una sorta di road map per mettere in pratica e realizzare la Laudato Si’, promulgata cinque anni fa per richiamare tutti, in particolare i cattolici alla tutela dell’ambiente, a rivedere il loro stile di vita e promuovere comportamenti diversi. Con questo testo il Papa ha acceso un faro sul grido della terra e dei poveri, ha ricordato l’invito a tutte le persone di buona volontà ad aderire per prendere cura della nostra casa comune e dei nostri fratelli e sorelle più fragili. Ricordare i cinque anni dell’enciclica non è una celebrazione rituale. La settima e l’anno dedicati a questa enciclica rappresentano una sorta di verifica per raccogliere idee ed esperienze pratiche. Sono un modo per condividere ciò che il documento ha messo in moto anche nelle comunità e nei territori di tutto il mondo e per riflettere sulla sua attualità mentre si combatte contro la pandemia da Covid-19. Uno dei meriti di questo testo papale è che parte dai fondamenti del rapporto tra la creatura e il Creatore, e l’averci fatto comprendere che tutto è connesso. Non esiste una questione ambientale separata da quella sociale: i cambiamenti climatici, le migrazioni, le guerre, la povertà e il sottosviluppo sono manifestazioni di un’unica crisi che prima ancora che essere ecologica, è alla sua radice una crisi etica, culturale e spirituale. La Laudato si’ non nasce da nostalgie per riportarci a forme di vita impraticabili, come quelle pre-industriali, ma individua e descrive i processi di un’auto-distruzione innescati dalla ricerca del profitto immediato e del mercato divinizzato. Un’analisi diretta che mette in luce la radice del problema ecologico: il modo di comprendere la vita e l’azione umana deviato, che contraddice la realtà fino al punto di rovinarla. Ripartire dalla realtà significa fare i conti con quello che è oggi la condizione umana e vedere quali sono le opzioni, perché è giunto il momento di prestare nuovamente attenzione alla realtà con i limiti che questa impone”.
Negli ultimi anni, grazie a Greta, molto giovani si sono uniti al movimento Friday for future. Segno che le nuove generazioni hanno compreso che non si può continuare a sfruttare l’ambiente e la natura come è stato fatto finora?
“E’ vero, questa attenzione verso l’ambiente è molto sentita dalle nuove generazioni. Dobbiamo pensare che bisogna agire subito, è tempo di riflettere sugli stili di vita e come le nostre scelte quotidiane, i consumi, gli spostamenti, l’utilizzo di acqua e delle fonti di energia possono essere dannose. Il Papa dice che stiamo spadroneggiando sul creato. E’ ora di abbandonare la dipendenza dai combustibili fossili a favore di un’energia pulita e un’economia sostenibile. Abbiamo visto che sono i giovani ad alzare la voce in tutto il mondo e a invocare scelte coraggiose, indicando quelle che possono essere azioni incisive, guardando con molto realismo la matrice di questo atteggiamento che ha portato il mondo sull’orlo del baratro. Sono delusi da troppe promesse disattese per interessi e convenienze di parte. Forse, proprio le nuove generazioni ricordano più di noi che la terra non è un bene da prosciugare ma da trasmettere. Sperare nel domani non è solo un bel sentimento, ma un compito che richiede azioni concrete, perché ai nostri figli dobbiamo dare risposte vere e non illusioni”.
Lei è autrice del libro “Frontiera Amazonia. Viaggio nel cuore della terra ferita”. Anche il Pontefice ha dedicato un’esortazione apostolica a questa regione. Perché sia Papa Francesco che lei avete deciso di accendere un faro sulle problematiche dell’Amazzonia?
“L’Amazzonia è un luogo rappresentativo e decisivo, di importanza planetaria, come lo è tutta la regione, la Panamazzonia. Si estende per quasi 8 milioni di chilometri e contribuisce in maniera determinante alla vita sulla terra. Quando il Papa è andato a Puerto Maldonado annunciando il Sinodo sull’Amazzonia ha detto che lì si gioca la vita di ognuno di noi. Proprio in questa regione si è scatenata una grave crisi, sia ambientale che sociale, causata da una prolungata ingerenza umana in cui predomina la cultura dello scarto e uno sfruttamento sconsiderato delle risorse naturali. Il Papa ha indicato in maniera chiarissima la causa profonda della crisi, strettamente collegata al modello di sviluppo adottato, che nell’enciclica Laudato Si’ indica con l’espressione ‘globalizzazione del paradigma tecnocratico’, che vuol dire un modello che induce a considerare la terra alla stregua di una merce e che come tale può essere sfruttata, degradata, depredata senza scrupoli, senza rendere conto a nessuno, per accumulare denaro. La più grande foresta pluviale del pianeta è vittima della più grande distruzione artificiale di ogni tempo perché al centro della disputa mondiale per l’accaparramento delle risorse naturali – gas, petrolio, legno, oro e monoculture – e nuove forme di colonialismo predatorio continuano a divorarla incessantemente, devastando la vita con l’inquinamento ambientale, causato dall’estrazione illegale e dalle sue conseguenze: la manodopera schiavizzata, l’abuso sessuale, i commerci illeciti. Si tratta di un’emergenza mondiale, è il cuore della nostra casa comune ed è emblematica di tutto quello che riguarda l’avidità umana. L’Amazzonia è lo specchio di tutta l’umanità, che a difesa della vita esige cambiamenti personali e culturali di tutti, degli Stati e della Chiesa. Quello che accade in Amazzonia è il paradigma imperante della cultura dello scarto che trasforma la terra in una grande discarica”.
Secondo lei, il nostro Stato sta facendo abbastanza per preservare l’ambiente?
“Dobbiamo sempre partire da questa asserzione molto chiara: noi, e quindi i governi, le classi politiche, non siamo i padroni del pianeta. Abbiamo visto che agire da padroni può essere scellerato. Quello che sta succedendo adesso in Amazzonia, con questo governo, mette in luce una responsabilità che può essere anche criminale. Anche in Italia c’è stato e c’è il problema degli incendi boschivi. Secondo la Protezione Civile negli ultimi 30 anni è andato in fumo il 12% del nostro patrimonio forestale. E’ una questione di responsabilità su diversi livelli cui si devono solo applicare le leggi da una parte, ma anche cambiare nel profondo la mentalità. Pensiamo che l’Italia è responsabile non solo per il nostro Paese. Abbiamo parlato dell’Amazzonia, pensiamo che lì l’allevamento di bovini, secondo il Dipartimento forestale e di studi ambientale di Yale, è il principale motore della deforestazione ed è responsabile dell’80% del tasso della deforestazione tropicale. In questo anche l’Italia ha un ruolo da protagonista, in quanto è il massimo importatore al mondo di pellame. Fornisce alcune delle più importanti aziende del Made in Italy. Nel 2016, il nostro Paese ha importato 29.000 di pelle dal Paraguay per un valore di 58 milioni di euro e rappresenta la totalità di importo di pelle europeo. Se si vuole salvare il nostro patrimonio, si deve passare da un paradigma tecnocratico ad un sistema diverso, di coscienza, di valori, che mirino allo sviluppo integrale e sostenibile. Questo comporta un’azione incisiva e lungimirante nella politica, nell’economia, nella legislazione e nella società. Credo che si debba molto insistere nell’importanza dell’educazione per trasformare visioni, atteggiamenti e comportamenti di ogni persona che va ad assumere un ruolo all’interno di un governo. Altrimenti nessuna normativa potrà mai essere efficace”.