Maggio come ottobre. E non certo per clima, non in senso stretto. Il Sud America e il coronavirus suonano quasi in una tragica rima, e solo in parte per l’incidenza della pandemia in termini di vittime e contagi. Che sono comunque quasi un milione, per un conteggio di quasi 48 mila decessi. Il filo rosso fra l’alba della nuova stagione e quanto accaduto ormai sette mesi fa in quasi tutto il subcontinente americano è anche il comune denominatore che, già ora, i Paesi dell’America latina si trovano a dover affrontare. Quella recessione economica che, nel migliore dei casi, provocherà un significativo rallentamento della sicurezza alimentare. Nel peggiore, e più probabile, accadrebbe l’opposto. Un rischio enorme per popoli che, prima della pandemia, avevano vissuto un periodo di gravissima crisi sociale, fra piazze, cortei, scontri e carovita che li aveva messi in ginocchio.
La crisi del secolo
Niente di strano che l’avvento del Covid-19, in Paesi già in fortissima difficoltà e, in alcuni casi, alle soglie della povertà, l’impatto della pandemia abbia significato qualcosa che se non è una debacle poco ci manca: “In una regione in cui una persona su tre viveva una condizione di insicurezza alimentare già prima della comparsa dei primi casi di Covid-19 – spiegano congiuntamente Simone Garroni e Benedetta Lettera, rispettivamente direttore generale e responsabile geografico dell’America Latina di Azione contro la Fame –, la contrazione del 5% dell’economia e l’aumento di oltre 11 punti del tasso di disoccupazione, secondo un recente rapporto redatto dalla Commissione economica per l’America Latina e i Caraibi, renderà quella attuale la più grave crisi dell’ultimo secolo“. Il che, in sostanza, significa quasi un intero Continente alle prese con un’emergenza alimentare con pochi precedenti storici.
Il controesodo
Una situazione di instabilità che rischia di produrre riflessi inevitabili sul piano sociale. Da un lato perché la popolazione, già provata da mesi di proteste per i rincari sui costi base, potrebbero decidere di riprendersi le piazze, dall’altro per una tendenza sempre più comune in Sud America al contro-esodo dalle capitali. Emblematico il caso della Colombia dove, come riportato in una nota dal referente Acf John Orlando, è in corso una massiccia mobilitazione di venezuelani in direzione dei confini, per tornare al proprio Paese: “Gli autobus arrivano da diverse zone fino alle aree di confine come, Norte de Santander, e in queste circostanze è fondamentale garantire dispositivi di protezione per ridurre al minimo il rischio di contagio”.
Nuovi assembramenti
In un contesto come l’America latina, dove buona parte della popolazione vive sotto gli standard minimi di sussistenza e intere famiglie basano la loro sopravvivenza sull’economia informale, l’allentamento delle misure di lockdown ha prodotto i primi assembramenti. Inevitabile, forse, per aree del Paese ad alta densità abitativa e bisognose di riavviare il motore sociale dopo mesi di stop, perlomeno in via ufficiale. Il tutto in condizioni igienico-sanitarie che, in contesti come El Alto in Bolivia o le periferie brasiliane, risultano quantomeno limitate. Ma anche altri Paesi non fanno eccezione: “A Lima – riferisce América Arias, direttrice Acf in Perù -, i mercati ambulanti non hanno tardato a riattivarsi dopo oltre 40 giorni di lockdown e, già oggi, non si rispetta più il distanziamento sociale obbligatorio“. Conseguenze sociali che rischiano di estendersi anche ai Paesi del Centro America (Guatemala e Nicaragua in primis), anch’essi scossi da instabilità politiche che non garantiscono adeguate strategie di contrasto né all’emergenza sanitaria né, tantomeno, a quella economica.
Ecco perché le rivolte di ottobre, che avevano di fatto rimosso politici storici come Evo Morales in Bolivia o costretto intere città a mettere in campo l’esercito, come Quito e Santiago, rischiano di tornare quantomai attuali, anzi, allargando la macchia d’olio in modo addirittura più esteso alla popolazione. La stima non è per nulla rosea: 29 milioni di potenziali nuovi poveri. Quanto basta per un’emergenza internazionale.