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Il caso Liguria e le incognite del turismo al Nord

Il riflesso del coronavirus sulle regioni settentrionali rischia di produrre effetti a lungo termine. Con Americo Pilati (Unione regionale ligure Albergatori e turismo) il quadro sulla ventura stagione turistica di un territorio di frontiera

Dovrà necessariamente passare dall’apporto del turismo la ripresa del nostro Paese. Al Nord come al Sud. Ma, se nelle regioni del Mezzogiorno l’incidenza sanitaria del coronavirus è stata tutto sommato limitata, pur provocando enormi riflessi sull’andamento del principale motore dell’economia nel meridione, le regioni del Nord Italia dovranno fare i conti con i postumi di una pandemia che ha di fatto concentrato in quest’area i suoi effetti più violenti. Inevitabile che, al di là delle limitazioni necessarie alla prevenzione rispetto a possibili ondate di ritorno, la ripartenza della filiera turistica possa rappresentare ben più di un’incognita per numerose attività del settore, fra strutture ricettive e intermediari: “Contiamo di cominciare ad aprire il 13 di giugno – ha spiegato a Interris.it Americo Pilati, presidente dell’Unione regionale ligure Albergatori e turismo -. Speriamo di riuscire a occupare almeno il 70% dei posti letto”. Ma resta l’incognita degli arrivi dall’estero.

Americo Pilati

Presidente Pilati, l’ondata di piena del Covid-19 non ha risparmiato alcun settore dell’economia italiana ma quello turistico, ovvero buona parte dell’indotto, ha subito probabilmente uno scossone senza precedenti. E’ possibile quantificare gli aspetti della crisi turistica per una regione di frontiera come la Liguria?
“Avevamo un 70% degli alberghi aperti a febbraio, quando è arrivata la notizia di questa pandemia. Tutti i gruppi sono partiti, noi lavoravamo molto anche con i pullman dalla Francia, Carnevale di Nizza, la Festa dei limoni… è stato cancellato tutto e di conseguenza abbiamo cominciato a chiudere il 70% degli alberghi alla fine di quel mese, solo due o tre sono rimasti aperti in tutta la regione”.

Alcune strutture alberghiere forse hanno potuto assorbire più di altre l’impatto di una crisi turistica. Per alcune realtà più piccole potrebbe essere stato un colpo troppo forte?
“Abbiamo sperato invano che i bazooka nazionali arrivassero anche qua ma, come tutti gli altri, di soldi non ne abbiamo visti, né abbiamo potuto usufruire dei 25 mila euro perché, tuttora, nessuno ha preso niente. Tanti nostri dipendenti non hanno ancora incassato i 600 euro, la cassa integrazione per quelli che erano a tempo indeterminato non è ancora arrivata per tanti. Una situazione estremamente difficile, come immagino in tutta l’Italia, e siamo in attesa di poter aprire, rischiando. Per fortuna il nostro governatore, Toti, ha spaccato il fronte e, quindi, potremo aprire con gli ombrelloni in piscina a tre metri di distanza, con un metro in sala e, soprattutto, ha dato la possibilità di fare un buffet per colazioni servito dai nostri dipendenti. Con un po’ di sacrificio e di attenzione pensiamo di tutelare i clienti e anche i nostri dipendenti. Crediamo di poter aprire il 13 di giugno, mentre molti altri apriranno verso il 20. Nella speranza che le regioni aprano le frontiere e che Francia, Svizzera e Germania aprano anch’esse i confini per il 15 di giugno”.

Una questione ancora dibattuta, per la quale se ne saprà di più probabilmente in seguito. L’apporto del turismo interno potrebbe non colmare questo gap?
“Speriamo in una forte promozione della nostra regione. Il nostro bacino di utenza sarà sicuramente italiano al 90%, da Piemonte, Lombardia, Valle d’Aosta e alta Emilia. Ma crediamo che per poter lavorare con certi numeri abbiamo bisogno anche della Francia, a noi molto vicina, e speriamo che possano arrivare anche dalla Svizzera e dalla Germania, perché noi abbiamo il 50% delle nostre presenze a livello regionale, che sono 14 milioni, che contano 7 milioni di arrivi da questi Paesi. Quindi è impensabile che non ce ne siano. Noi abbiamo la speranza che almeno il 10-20% ritorni, altrimenti sarebbe una debacle. Non credo si possa fare solo affidamento sul turismo interno ma speriamo di arrivare a un riempimento di almeno il 70% dei posti letto”.

Gli albergatori hanno dovuto far fronte a un periodo di crisi che ha investito il comparto turistico in tutte le sue filiere. Uno scenario che accomuna Nord e Sud, senza distinzioni…
“Sì, assolutamente. In gravissima difficoltà sono i gestori degli hotel, che sono un 40% del numero totale degli alberghi. Mi auguro che ce la facciano, che a giugno si cominci a incassare qualcosina per dare un filo di speranza. Certo che se dovessero chiudere lo farebbero per sempre. Non dimentichiamo che anche i proprietari hanno sempre fatto grossi investimenti… Ci siamo dentro anche noi e anche fortemente, perché il turismo è una delle componenti del lavoro italiano maggiormente colpite”.

Le difficoltà del settore turistico riscontrate durante la pandemia rischiano di ripercuotersi in modo forse definitivo per la branca degli intermediari di viaggio, soprattutto le agenzie…
“Anche perché le agenzie sono quasi state soffocate e distrutte dalle Ota, dalle prenotazioni online. Abbiamo avuto una botta, lo scorso anno, e ci siamo rimasti dentro un po’ tutti. Quest’anno è in grossa difficoltà la T… finanziata dal governo tedesco, uno degli ultimi colossi delle agenzie. Ci auguriamo si riprendano, altrimenti saremo in mano alle prenotazioni online”.

La vostra vicinanza geografica alle regioni più colpite dalla pandemia potrebbe incidere in maniera più netta rispetto ad altri territori del nostro Paese sul turismo del dopo-lockdown?
“Noi siamo una regione di frontiera, contornata da due regioni fortemente colpite come Lombardia e Piemonte. Con le frontiere chiuse non c’è stata nessuna prenotazione, due o tre alberghi aperti… Dalle difficoltà dei nostri vicini siamo stati penalizzati al massimo. Le vie che ci avvicinano all’Italia erano tutte chiuse. Malati non troppi ma c’è stato un momento in cui anche qui avevamo difficoltà. Quasi tutti vengono dalle case di riposo, dove c’è stato un massacro come in tutta Italia”.

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