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Ecco perché oggi Francesco celebra messa sulla tomba di Karol Wojtyla

Nel centenario di San Giovanni Paolo II, la continuità con papa Bergoglio nel "legame tra gregge e pastore" e nel "dialogo con i giovani", pilastri del rinnovamento wojtyliano

Ieri, dopo la preghiera mariana del Regina Caeli, Jorge Mario Bergoglio ha annunciato: “Domani ricorre il centenario della nascita di San Giovanni Paolo II, a Wadowice, in Polonia. Lo ricordiamo con tanto affetto e tanta riconoscenza. Domani mattina, alle 7, celebrerò la Santa Messa, che sarà trasmessa in tutto il mondo, all’altare dove riposano le sue spoglie mortali. Dal Cielo egli continui a intercedere per il Popolo di Dio e la pace nel mondo”.

 

Nessuna contrapposizione

Ogni tentativo strumentale di contrapporre i due pontificati non resiste all’evidenzia di una continuità ribadita anche da chi ha affiancato Karol Wojtyla lungo tutta la sua missione sul Soglio di Pietro. Racconta Arturo Mari, amico e confidente di San Giovanni Paolo II, per oltre mezzo secolo fotografo all’Osservatore Romano: “Karol Wojtyla e Jorge Mario Bergoglio hanno la medesima dedizione alla gente, lo stesso dialogo con i giovani. Ho seguito tutti i Pontefici da Giovanni XXIII in poi e apprezzo moltissimo come Francesco svolge la sua missione. Lavora tanto, ha fatto tesoro di quello che ha sperimentato all’inizio del suo pontificato. I buoni risultati adesso si vedono e la Chiesa universale ne raccoglie i frutti. Un legame senza filtri con il popolo di Dio. Pastore e gregge uniti nella condivisione“.

Progresso di molti, miseria dei più

Il decano dei vaticanisti Gianfranco Svidercoschi, amico e collaboratore di Karol Wojtyla, evidenzia a Interris.it come Karol Wojtyla seppe cogliere il vero dramma della storia contemporanea (il progresso di molti, la miseria dei più) mettendo al centro la questione difficile, ma inevitabile, del senso e della nozione del vero progresso. Sulle orme del suo predecessore Montini, Giovanni Paolo II ebbe la lungimiranza profetica di mettere radicalmente in questione quel tipo di progresso. “Non si può concepire e attuare il progresso come se ciò che conta fosse soltanto l’arricchimento materiale ed egoistico, a costo di esaurire le risorse naturali, di rovinare l’ambiente ecologico, di non attendere alle necessità umane di ogni lavoratore e alla giusta gerarchia dei beni e dei fini– sostenne Wojtyla-. La vera nozione di progresso non può che scaturire da una critica penetrante sia delle varie forme di capitalismo liberale, sia dei sistemi totalitari, ispirati al collettivismo”. Anche in questi, infatti, “il valore economico è visto come supremo, con la conseguenza che ad esso e al tipo di sviluppo che ne deriva l’uomo e la vocazione sua propria vengono fatti servire”. Quindi, evidenziò nettamente Karol Wojtyla, “per certi versi, i due sistemi che, almeno nelle loro forme più rigide, oggi si dividono il mondo, hanno certe convergenze che il confronto politico tende a dissimulare“. Perciò “le divisioni che lacerano il tessuto dell’umanità non sono soltanto quelle ideologico-politiche, esistenti tra Est e Ovest, ma anche quelle economico-sociali, rilevabili tra Nord e Sud; e che le prime non sono poi del tutto indipendenti dalle seconde”.

Radici conciliari

Per Karol Wojtyla il Concilio ha posto le premesse del nuovo cammino della Chiesa nella società contemporanea. Pur essendo la stessa di ieri, la Chiesa vive e realizza in Cristo il suo “oggi”, che ha preso il via soprattutto dal Vaticano II. Il Concilio ha preparato la Chiesa al passaggio dal secondo al terzo millennio dopo la nascita di Cristo. Anche Joseph Ratzinger, dal 1962 al 1965, ha garantito un
rilevante apporto al Concilio Vaticano II come “esperto” e ha
assistito come consultore teologico il cardinale Joseph Frings,
arcivescovo di Colonia. In realtà il lascito conciliare di Wojtyla
e Ratzinger si riscontra in una pluralità di aspetti del pontificato di Francesco. L’anelito sinceramente ecumenico che lo spinge a considerare il primato petrino in termini di servizio alla cristianità e non di dominio, l’impostazione autenticamente universale della sua missione pastorale, il debito di riconoscenza che nell’ultimo mezzo secolo accomuna tutti i pontefici per la straordinaria intuizione di Giovanni XXIII. Un lascito da personalizzare. I pontefici rappresentano tutti una parte di una storia organica e continua, sottolinea monsignor Giancarlo Vecerrica, vescovo emerito di Fabriano e Matelica, ideatore della marcia Macerata-Loreto. Le accentuazioni proprie di ciascun pontefice non sono altro che puntualizzazioni e richiami per una attività apostolica più incisiva e rispondente alle esigenze del momento.

Eredità

Definire il papa buono o misericordioso serve soltanto per evidenziare e attirare l’attenzione sull’operato specifico, ma non serve per limitare l’attività di un pontefice. Queste caratterizzazioni, a giudizio di monsignor Vecerrica, vanno usate con molta accuratezza perché sono limitate e qualche volta anche usate ad arte per non solo sottovalutare l’operato pontificio, ma prendono solo aspetti secondari, dimenticando l’essenziale che caratterizza l’attività di ogni pontefice. L’eredità conciliare di Karol Wojtyla e di Joseph Ratzinger consiste nella continua ripresa dei testi e dello spirito del Vaticano II, incarnandoli nella loro grande testimonianza. La lezione del Concilio nell’ insegnamento di Francesco più presente e più richiamata è l’evangelizzazione, come dimostra anche l’esortazione apostolica Evangelii Gaudium. Francesco offre la Chiesa al mondo moderno con una forte apertura. Ed è stato proprio il Papa che Jorge Mario Bergoglio ha canonizzato e sulla cui tomba oggi celebra messa a ribadire il diritto della Chiesa di intervenire, dal punto di vista morale, sulle questioni politiche e sociali, a partire dall’impegno della Santa Sede sul debito internazionale. Un tema che Karol Wojtyla vedeva “riacutizzarsi e aggravarsi in modo preoccupante, come una trama insidiosa”, coinvolgendo “tutti, paesi indebitati e paesi creditori, banche creditrici e istituzioni internazionali”.

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