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Litigi, vendette, violenze: non ci servono per vedere la tv in famiglia

C’è un messaggio strisciante che penetra nelle case ad ogni occasione, con un uso scientifico dei mezzi di comunicazione ed in particolare della televisione; non mi riferisco ai notiziari od ai programmi di intrattenimento quanto alle produzioni culturali. È da tempo che il mondo degli spettacoli di appannaggio pubblico veicolano, attraverso gli sceneggiati, oggi chiamati fiction, un messaggio chiaro e costante in direzione opposta alla famiglia: con le scuse di rappresentare lo spaccato attuale delle relazioni sociali, gli argomenti proposti rispondono sempre ad uno stesso schema, purtroppo deteriore. Si rappresentano padri inadatti al ruolo genitoriale, madri in carriera divise tra nuove relazioni e gestione dei figli, adolescenti che osservano negativamente i comportamenti dei genitori, e poi litigi, invidie, tradimenti, violenze, incomunicabilità condite da un immancabile sfondo di criminalità organizzata.

Sono le fiction che, si dice, attingono dalla cronaca e rappresentano lo spaccato della società attuale. Fosse vero e fossero orientati alla denuncia di comportamenti da migliorare sarebbe forse anche accettabile ma non sembra essere così.

Pare piuttosto che gli autori (sceneggiatori, registi, attori) si crogiolino nel rimarcare messaggi di segno opposto a sentimenti di pace e serenità condivisa, ad obiettivi di crescita e sviluppo educativo, a comportamenti e dialoghi costruttivi e non violenti che sono invece presenti nella stragrande maggioranza dei giovani e delle famiglie, degli ambienti sociali ed educativi, nello sport come nella scuola e negli ambienti di lavoro. Insomma, al posto di rappresentare il meglio del tempo in cui viviamo, con gli enormi vantaggi aggiunti  dalle conquiste tecnologiche e dalla crescita della consapevolezza culturale, si assiste ad un cliché improntato alla peggiore rappresentazione. E ciò in aperto contrasto con le dichiarazioni di impegno sociale a contrastare fenomeni criminali al pari della salvaguardia dei valori di rispetto e di tutela: non c’è fiction in cui non si assista ad un episodio di violenza specialmente su donne e bambini ma ci si impegna a combattere femminicidi e pedofilie, sono immancabili gli episodi di bullismo tra giovani e giovanissimi ma se ne dichiara la pericolosità sociale. Potrebbe sembrare finalizzato alla denuncia di tali fenomeni ma la quantità di produzioni in tal senso ed il lungo tempo da cui vanno in onda hanno ampiamente esaurito qualunque diffusione della loro conoscenza mentre appare più utile e congruo dedicarsi alla ricerca dei metodi per combatterli, emarginarli e rimuoverli.

Non è buonismo, anzi. Proprio quel banale e ridotto messaggio buonista che compare alla fine di tali rappresentazioni per compensare una cruda, dettagliata e spettacolare quanto affascinante descrizione del male appare veramente insufficiente, lasciando nell’animo del pubblico un velo di mestizia rispetto alla crudeltà delle scene indelebili mostrate.

Perché? Forse solo per cassetta, per esigenze di pubblico sapendo che il male fa più rumore del bene, per sua natura silenzioso? Forse solo perché è più spettacolare in confronto ai noiosi sentimenti di bene? Ho timore di no. Sembra quasi che stia circolando un messaggio che vuole minare scientificamente, costantemente ed inesorabilmente la cellula della vita sociale che è la famiglia, all’interno della quale vige – al contrario di quanto inculcato – l’invincibilità degli affetti, la serenità dei rapporti, la trasmissione degli elementi culturali fondanti e caratteristici, la salvaguardia delle tradizioni e della territorialità.

È un dato oggettivo che una famiglia unita, serena ed improntata ai valori tradizionali dell’educazione al rispetto, al lavoro, al vivere sociale rappresenta una fucina impenetrabile di crescita dei bambini, dei giovani e degli stessi adulti che la compongono ed è una palestra di esercizio per fortificare il proprio spirito e confrontarsi con gli altri momenti tradizionali di aggregazione sociale.

Ma se l’obiettivo è quello di inculcare il bisogno di miti evanescenti e di puntare alla fragilità delle persone per meglio collocare i propri prodotti, annullando le libere volontà individuali ed uniformandone le scelte verso le mete imposte da chi intende sottomettere il mondo ai propri interessi, allora colpire la famiglia è come tagliare i rifornimenti al nemico che finirà per arrendersi.

È tempo che anche le fiction si adattino a rappresentare quel mondo sano e produttivo cui assistiamo osservando i numerosi programmi di approfondimento culturale che la televisione ci concede, dai dibattiti sui libri alla scoperta dei tesori dell’arte, dai viaggi nei borghi alle economie del mare e dei monti, dagli approfondimenti scientifici ai personaggi della storia. Non ci servono ammazzamenti, violenze, stupri, carognate, vendette, traffici illeciti e gli episodi della più turpe cronaca nera per trascorrere una serata in famiglia davanti alla tv.

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