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“Bentornata Silvia” tra ipocrisie e ignoranza

In questi giorni sto leggendo tanti commenti sulla liberazione della ragazza rapita in Kenya. E debbo dire che penso che tanti nostri connazionali, anche amici che frequento, stiano vivendo un momento veramente difficile per essere diventati così cattivi. Molti hanno anche argomentato perché la ragazza dovesse morire in terra straniera, avendo ella stessa scelto di partire per andare ad aiutare i poveri all’estero. Io vorrei mettere le idee in ordine, iniziando dalle mie. Chi vuole può -a sua volta – farci sopra una riflessione. Un cittadino italiano, come di altri Paesi, per partire ha bisogno del passaporto. È lo Stato, “suo tutore”, che gli rilascia il passaporto e quindi il permesso di partire. Passaporto per il quale il cittadino paga una tassa e che viene controllato alla frontiera dalla polizia. Quindi, chi parte, non commette una illegalità o un’imprudenza.

Parte per una libera scelta che può essere per turismo, lavoro o per altre motivazioni contemplate dalle Autorità dello Stato di appartenenza. Se a carico di un cittadino italiano viene commesso un delitto all’estero chi se ne deve occupare? Ovviamente le Autorità del luogo che lo ospitano, ma se ne occuperà anche la Procura della Repubblica di Roma. Di un cittadino sequestrato o ucciso dall’altra parte del mondo chi se non la polizia o i carabinieri se ne debbono occupare. Da Capo della Criminalpol delle Marche ricordo di aver inviato un ispettore di polizia in India per acquisire notizie sulla morte di una giovane connazionale che era andata a vivere laggiù per un breve periodo. Ne parlarono diffusamente i giornali locali e nazionali: nessuno si stracciò le vesti. Anzi. Vi fu un grande interesse per capire cosa fosse successo a questa povera ragazza uccisa in uno sperduto villaggio indiano con inaudita crudeltà.

Ora è evidente che se un cittadino è stato sequestrato all’estero debbano attivarsi i Servizi Segreti esterni, come li ha chiamati il Presidente Conte, che in Italia sono denominati AISE, ed è soprattutto a loro che dobbiamo riconoscere il merito di aver riportato a casa la ragazza. Al rientro la ragazza si è presentata in abito verde, lungo, vestita alla maniera mussulmana, tradizionale. Cosa cambia? L’avremmo forse accolta con più affetto se si fosse presentata con una gonna svolazzante o un jeans? E se si fosse gettata tra le braccia della mamma piangendo anziché sorridere sarebbe stato forse diverso? Io credo che se ci togliessimo gli occhiali del fanatismo politico che sta imperversando sui social – ripeto anche a motivo della grave crisi economica che stiamo vivendo – forse riusciremmo a guardare a questa liberazione in modo meno cattivo. Come è stata trattata la ragazza? L’hanno seviziata? Io spero di no. Ma cambia forse qualcosa rispetto alla gioia di vederla rientrare in Italia? Per quale pruriginoso interesse la ragazza avrebbe dovuto raccontare all’arrivo, e a beneficio di chi, le vicende emotive che l’hanno segnata in un anno di mezzo di prigionia? Andare all’estero sta diventando sempre più pericoloso di questi tempi. È vero. Allora il cittadino che si reca all’estero oltre al passaporto, forse dovrebbe essere invitato a firmare un protocollo con indicazione, da parte della Farnesina, delle zone a rischio ove deciderà di andare e dovrà personalmente assumersi quel rischio a cui lo Stato non può esporlo.

Sono stato negli stessi posti dove la ragazza ha camminato e dove ha fatto assistenza a bambini in difficoltà. L’ho fatto per turismo. Se fossi stato sequestrato lo Stato avrebbe dovuto prendersi cura di me, o no? E se no, perché allora abbiamo le Ambasciate? Cosa sono se non pezzi dello Stato che si trasferiscono all’estero e al cui interno vige per convenzione la extraterritorialità, ovvero per lo Stato ospitante la sede addirittura l’obbligo di assicurarne l’inviolabilità? Tutte queste riflessioni mi fanno concludere solo con un: “Bentornata a casa, Silvia Romano”. Grazie ai nostri Servizi che si sono impegnati per liberare questa ragazza da una terribile schiavitù e forse a risparmiarle una probabile orribile morte come capitato ad altri connazionali. E questo è quello che più conta per me. Al netto delle mie idee politiche, che comunque non mi impediscono di sperare che i Servizi esterni (o AISE) riescano a far rientrare in Italia anche i nostri connazionali che tuttora si trovano in difficoltà all’estero e che – a mio parere – hanno diritto ad avere dal nostro Stato assistenza ed aiuto.

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