“Gli Stati Uniti mostrino le prove”. La richiesta ormai è questa e arriva praticamente da ovunque. Anche perché, a ben vedere, il solo sospetto non basta a gettare la croce addosso alla Cina, colpevole, secondo gli americani, di essersi fatta sfuggire il virus dal laboratorio di Wuhan. Dagli Stati Uniti le accuse formulate sono state specifiche anche se, finora, non supportate da prove scientifiche, né condivise dagli organismi sanitari internazionali (Oms in primis). Sufficienti, comunque, ad alimentare il fuoco del sospetto, spingendo quasi tutta la Comunità internazionale a voler vederci chiaro. In un quadro in cui, al di là delle accuse mirate, la questione primaria non sembra nemmeno tanto essere determinare o meno se il virus sia effettivamente fuggito dai test-lab cinesi…
Quadro internazionale
A far tremare la Comunità internazionale, Cina compresa, è il presunto silenzio delle autorità della Repubblica popolare sulla reale portata dell’emergenza. Aspetto non secondario poiché, opinione diffusa fra i sostenitori della teoria, una maggiore tempestività nel comunicare al resto del mondo cosa realmente stesse accadendo a Wuhan avrebbe almeno in parte scongiurato una deriva così disastrosa degli eventi. Al momento, tutte le variabili ruotano attorno a questo: ruolo della Cina, degli Stati Uniti, filtro dell’Unione europea, attori non tanto di una nuova guerra fredda, quanto del tracciamento di un nuovo assetto internazionale che, rispetto al passato, avrebbe dovuto tenere in considerazione aspetti finora lasciati in disparte, primo fra tutti la posizione delle potenze emergenti. Uno scenario che l’emergenza coronavirus ha rimesso in discussione, sospendendo il posizionamento delle nuove assi commerciali e geopolitiche per porre quasi tutti i Paesi di fronte a una crisi economica interna che costringerà giocoforza i governi a farci i conti. Con buona pace di tutte le strategie e delle alleanze in campo.
L’analisi
In sostanza, nella disputa Usa-Cina le variabili geopolitiche c’entrano fino a un certo punto. Ancora meno l’aderenza idealistica (o pratica) all’una piuttosto che all’altra forza in campo, spostando il punto focale nel capire se, davvero, da Pechino abbiano deliberatamente ritardato l’allerta su cosa stava accadendo e su cosa si preparava ad accadere: “E’ vero che la questione del virus sta diventando un campo di battaglia geopolitico nel braccio di ferro fra Usa e Cina – ha spiegato a Interris.it Gianandrea Gaiani, direttore di Analisi Difesa – ma non ci dimentichiamo che tutti i Paesi anglosassoni e tanti Paesi europei hanno chiesto chiarimenti alla Cina. E’ un confronto geopolitico che riguarda anche l’Europa, un campo di battaglia teorico fra l’influenza americana che cerca di ribadirla in funzione anticinese e quella cinese che in Europa sta crescendo. Il confronto geopolitico c’è ed è a tutti i livelli. L’intelligence americana sembra non attribuire alla Cina la volontà di aver creato e diffuso il virus, quanto piuttosto di esserselo fatto sfuggire”.
Il sospetto
Chiarimento è il comune denominatore. Lo chiede la Cina, che rispedisce al mittente le accuse. Ma ora, pur senza schierarsi apertamente con l’una o l’altra fazione, lo chiedono anche a Pechino i Paesi che con il Covid hanno avuto a che fare. Non solo gli americani: “Già i francesi, che avevano lavorato a Wuhan, avevano fatto trapelare critiche sul fatto che i virus studiati avrebbero previsto misure di sicurezza più strette. Il punto è che la Cina era consapevole di avere un problema di contagio molto prima di quando lo ha reso noto. A Wuhan venne fatta a settembre un’esercitazione di biocontenimento in cui si simulava un caso di coronavirus in aeroporto. E’ giusto che si facciano questo tipo di esercitazioni, soprattutto in Cina da dove si sono sviluppate le ultime pandemie, ma è curioso che proprio a Wuhan ci si addestrasse a questa emergenza. La Cina ha sicuramente tenuto nascosto per molto tempo il contagio. Sicuramente non ha consentito che emergessero dettagli anche da fonti non uniformate all’informazione di Stato. Basti pensare che la Cina ancora oggi non consente a scienziati e medici stranieri di andare a studiare questo virus nella città che ne è stata il primo focolaio”.
Assetti geostrategici
La posta in gioco è alta. Non solo perché il sospetto generale sulla Cina potrebbe rappresentare il deus ex machina per una ricostruzione degli assetti geostrategici a emergenza finita, ma anche perché le autorità cinesi rischiano di uscire dalla situazione con ben altre etichette rispetto a quella di potenza emergente: “La Cina ha responsabilità nell’aver nascosto l’allarme. Anche oggi l’ambasciatore cinese alla sede dell’Onu ha detto che la Cina non permetterà a scienziati stranieri di andare a studiare il virus finché non sarà sconfitto. A questo punto separerei l’aspetto del confronto geopolitico da un dato oggettivo sul fatto che la Cina ha precisa responsabilità, connaturate col regime che domina il Paese dal 1949, una dittatura. Quello che induce a considerare credibile questa informazione è il fatto che la Cina ha mentito”.
Questione di Pil
Un quadro che, in sostanza, costringerebbe l’opinione generale a rivedere le proprie considerazioni sui nuovi rapporti in gioco, primo fra tutti quello relativo alla nuova Via della Seta, sulla quale la Cina ha costruito il trampolino per il lancio nel novero delle prime economie mondiali. Possibili revisioni delle quali tenere conto, considerando che la pandemia ha costretto i Paesi del G8 a riformulare le proprie strategie economiche e quasi tutte le previsioni relative al Pil da qui a un paio d’anni, aspettando infine di capire quale sia stato il vero ruolo di Pechino nel disastro, laddove anche la Cina il suo danno lo ha subito e non solo in termini di vite perdute (“Si parla di 80 milioni di disoccupati”, spiega Gaiani). Va da sé, a questo punto, che l’assetto geopolitico rappresenta non una causa, ma una conseguenza, non dimenticando che anche gli Stati Uniti, nel fare esplicito riferimento alle responsabilità cinesi, hanno compiuto un passo importante, in un momento in cui il Paese riporta i numeri più pesanti in termini di conseguenze da Covid-19 e anche pensando alle elezioni presidenziali in programma il prossimo anno.
Ripartenza difforme
Per questo la Cina si gioca molto, di sicuro la credibilità sul piano internazionale e, nondimeno, lo status di Paese in rampa di lancio, senza dimenticare il focolaio di protesta di Hong Kong che il coronavirus ha solo momentaneamente accantonato: “Forse – ha concluso Gaiani – abbiamo dimenticato radicalmente con chi abbiamo a che fare, cioè con una dittatura brutale, che fa sparire dissidenti e con approccio arrogante e imperialista. La posizione del governo americana può essere criticata dall’opposizione, in Cina questo non avviene”. Un aspetto che forse, alla lunga, ha finito per pesare. E anche se, in attesa delle famigerate prove, si resta nel limbo del sospetto, l’impressione è che la ripartenza del dopo Covid rischia di non essere uguale per tutti. E non solo per l’incidenza della malattia.