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L’arte della clownterapia nei reparti di oncoematologia per bambini (VIDEO)

Tra dolore e sorrisi, il racconto della presidente dell’Associazione Onlus di Clown-dottori Magicaburla, Cristiana De Maio

Troppo spesso ci si dimentica di chi lotta quotidianamente contro la malattia, anche in tempi di normalità. Stiamo parlando di quei bambini e di quelle bambine dei reparti di oncologia, dove nel buio del dolore e della sofferenza gli operatori della Onlus Magicaburla cercano di portare un raggio di sole attraverso “un sorriso, una risata che sono indispensabili per il benessere del sistema immunitario” come racconta ad Interris.it Cristiana De Maio presidente dell’associazione e clown-dottore.

Dove svolge le sue attività Magicaburla?
“Come associazione lavoriamo al Bambino Gesù nei reparti di oncoematologia anche in day hospital, nella Nora ossia quel reparto dove i bambini fanno i prelievi del midollo e controlli più specifici. Ma anche al pronto soccorso del Sant’Eugenio, in pediatria e al reparto grandi ustioni; agli ambulatori di alta specialistica del policlinico di Tor Vergata e alla pediatria dell’Ospedale San Giovanni Evangelista di Tivoli”.

Quali sono i vostri pazienti del sorriso?
“I nostri pazienti sono i bambini, i genitori, i nonni e tutti quelli che si trovano vicini ai bambini. Operiamo anche per lo staff medico ed infermieristico perché la Clownterapia inizia nel momento in cui si accede in un reparto, quindi è rivolta a tutte quelle persone che noi incontriamo, le quali possono beneficiare della nostra terapia del sorriso. Parliamo di bambini che hanno patologie di diversa natura: dalla pediatria normale dove c’è il bambino con un’infezione anche di facile gestione, ai bambini che hanno riportato delle ustioni, fino ai piccoli oncoematologici”.

Come è cambiato il vostro lavoro al tempo del Coronavirus?
“E’ cambiato molto. Il nostro lavoro prevede un rapporto di uno a uno, o meglio di due a uno: due clown dottori per nucleo familiare. E’ un rapporto vis à vis. In generale, anche in un periodo di normalità, si tratta di un contatto particolare perché noi come operatori dobbiamo essere sempre molti accorti nell’avvicinarci ai bambini, per una serie infinita di motivazioni e non solo per un discorso di tutela dell’infanzia. Soprattutto perché il bimbino ha una patologia ed essendo coperto da un lenzuolo, noi non sappiamo se quando andiamo a toccare un arto per far suonare il bambino con uno dei nostri tanti strumenti magici, gli procuriamo involontariamente del dolore. Limitiamo quindi il contatto fisico alle parti scoperte del corpo. In pandemia, siamo stati tutti lasciati a casa. In un primo momento, siamo rimasti un po’ stupiti dall’emergenza. Ma subito dopo, ci siamo detti: ‘Dobbiamo fare qualcosa, dobbiamo muoverci’. Perciò, abbiamo creato una campagna che si chiama ‘Il sorriso che abbraccia’ che prevede la produzione di una serie di video per i ragazzi sui nostri canali social. Qui, tutte le persone e tutti i bambini possono andare ad attingere per fare la ‘Comico terapia passiva’, cioè sorridere guardando i nostri video. Il sorriso e la risata sono indispensabili per il nostro sistema immunitario soprattutto in un momento di lotta contro il virus, è fondamentale avere un sistema immunitario forte. Da ieri, abbiamo lanciato un nuovo progetto: le video chiamate per i bambini ospedalizzati, come anche per quelli che seguono un protocollo di cura ma che rimangono a casa o per tutti quei piccoli delle case famiglia. Noi siamo in stretto rapporto con una casa famiglia che si chiama la Casa di Davide, dove risiedono dei bambini oncoematologici, i quali provengono da tutte le regioni d’Italia. Sono lì per provvedere alle loro cure”.

Avete ricevuto qualche messaggio particolare dai bambini o dai genitori?
“Qualche giorno fa, ci è arrivato il messaggio di una mamma che ci ha mandato una foto di uno dei nostri clown-dottori insieme a sua figlia. La signora ci ha scritto: ‘ho visto la vostra campagna su Facebook e, anche se mia figlia non c’è più da sei mesi, io ancora conservo le foto e ricordo quanto la mia piccola ha riso insieme a voi’. Ovviamente per noi, è stata una cosa forte a livello emotivo. Ci ha fatto capire come alcuni genitori, nonostante attraversino un tale dramma ci seguono su Facebook ed esprimono il desiderio di inviarci delle foto e di ringraziarci per il lavoro che facciamo per i loro bambini”.

Che cosa significa per voi far ridere questi bambini?
“E’ una domanda difficile. Perché quello che noi diciamo sempre è che il servizio è biunivoco: il clown-dottore fa la comico-terapia ad un nucleo familiare mentre la fa anche a se stesso. È un rapporto di dare avere. Per noi è fondamentale dare a quei bambini che stanno vivendo una difficile ospedalizzazione un momento di vita normale. Un mondo fatto di spensieratezza, di sorrisi, di giochi, perché questo appartiene ai bambini. Un mondo che non trovano in ospedale. Attraverso il sorriso, i clown-dottori cercano di riporta i bambini ad un momento di quotidianità. Inoltre, il nostro lavoro serve a veicolare le emozioni: i bambini quando sono in ospedale sono pieni di paura, di rabbia e di noia. Noi prendiamo queste emozioni e le trasformiamo. Abbiamo, infatti, dei pupazzi che vengono picchiati. Su di loro si riversa l’astio e la paura dei bambini. Cerchiamo di portare avanti, tramite la cura del sistema immunitario, un processo di autoguarigione là dove naturalmente c’è la possibilità che questo avvenga. Lavoriamo sulla parte sana del bambino che anche di fronte ad una patologia molto seria come un tumore, esiste e c’è. Mentre se noi adulti abbiamo l’influenza, diventiamo l’influenza; il bambino anche se con una patologia conserva la sua gioia di bimbo.  E noi su questa lavoriamo”.

Che reazione hanno i bambini nell’incontrarvi?
“Le più disparate. Ci sono bambini che ci accolgono con estremo entusiasmo, mentre altri che non ci vogliono.  E noi dobbiamo capire perché non ci vogliono. Ci sono diversi tipi di no. Magari, è un no vero perché il bambino sta male: ha problemi collegati alla chemioterapia. Ci sono dei no di rabbia e quindi noi ci ingegniamo nel trovare il modo affinché quell’avversione diventi un sì. Oppure, riceviamo dei no da parte dei genitori o dei nonni che hanno paura che possiamo essere un problema per il piccolo. Il nostro lavoro è molto delicato”.

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