Papa Giovanni Paolo II lo ha proclamato santo con queste parole: “In lui risplendono fede ardente, carità genuina, spirito di sacrificio, amore alla povertà, zelo per le anime, fedeltà alla Chiesa”. Giovanni Calabria, ultimogenito di sette fratelli, nasce a Verona nel 1873 da una famiglia povera. Durante la quarta elementare resta orfano del padre ed è costretto a lasciare la scuola andando a lavorare come garzone. Inizia a frequentare il liceo presso il seminario ma al terzo anno interrompe gli studi perché viene chiamato a espletare il servizio militare. Già nel corso della naja si distingue per la sua grande carità nei confronti di tutti, soprattutto verso gli infermi. Prestandosi per gli uffici più umilianti e rischiosi conquista l’animo di commilitoni e superiori. Il suo esempio aiuta molti di loro ad avvicinarsi alla fede e a convertirsi.
Ripresi gli studi, in una fredda nottata di novembre, di ritorno da una visita ai malati dell’ospedale, avviene un episodio che cambia la sua vita per sempre. Incontra accovacciato sull’uscio della sua abitazione un bambino, un piccolo mendicante di sei anni che ogni tanto incontrava per strada mentre chiedeva l’elemosina. San Giovanni decide di accoglierlo in casa e occuparsi di lui. Da qui iniziano le sue opere in favore degli orfani e degli abbandonati. Pochi mesi dopo, fonda la “Pia Unione per l’assistenza agli ammalati poveri”, riunendo attorno a sé un folto gruppo di sacerdoti e di laici. “Ogni istante della sua vita fu la personificazione del meraviglioso cantico di San Paolo sulla Carità”, scriverà in una lettera postulatoria a Paolo VI una dottoressa ebrea da lui salvata nel corso della persecuzione nazifascista. Don Calabria, infatti, farà indossare alla donna gli abiti da suora tenendola nascosta tra le religiose del suo Istituto.
Ordinato sacerdote nel 1901, diventa confessore nel Seminario, si occupa di accoglienza e cura spirituale dei soldati, oltre a distinguersi per l’inesauribile sostegno per i bisognosi. Crea così l’Istituto “Casa Buoni Fanciulli” e successivamente due congregazioni, maschile e femminile, chiamate Poveri Servi e Povere Serve della Divina Provvidenza. Entrambe sono riconosciute a livello diocesano e poi pontificio. San Giovanni realizza ospedali e case di accoglienza, aprendosi anche alla formazione di giovani e adulti poveri, per aiutarli a raggiungere la propria vocazione sacerdotale o religiosa.
Questa è la missione che affida alle sue congregazioni: “Mostrare al mondo che la divina Provvidenza esiste, che Dio non è straniero, ma che è Padre, e pensa a noi, a patto che noi pensiamo a lui e facciamo la nostra parte, che è quella di cercare in primo luogo il santo Regno di Dio e la sua giustizia”. La sua opera si sviluppa in varie parti d’Italia rivolgendosi anche agli infermi e gli anziani attraverso la fondazione della “Cittadella della Carità”. Quattro confratelli, inoltre, si recano in India tra i “senza casta”. Decenni più tardi i missionari di don Calabria saranno a fianco dei portatori di handicap e nel Terzo Mondo. Tratto fondamentale di ogni attività è la completa gratuità, confidando nelle parole del Vangelo: “Non preoccupatevi per la vostra vita, di quello che mangerete o berrete, né per il vostro corpo, di quello che indosserete”.
Il santo veronese si rende conto che è importante coinvolgere nella Chiesa anche i laici realizzando proprio per loro la “Famiglia dei Fratelli Esterni” e divenendo, in tal modo, voce profetica e punto di riferimento per tutti. La sua esistenza, come affermato da Giovanni Paolo II durante la canonizzazione, “è stata tutta un vangelo vivente, traboccante di carità: carità verso Dio e carità verso i fratelli, specialmente verso i più poveri. Sorgente del suo amore per il prossimo erano la fiducia illimitata ed il filiale abbandono che nutriva per il Padre celeste. Ai suoi collaboratori amava ripetere le parole evangeliche: ‘Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta’”.
Un altro “fronte” a cui San Giovanni si consacra con molta dedizione è quello dell’unità dei cristiani e del dialogo interreligioso: intrattiene fraterni rapporti con tutti, scrive e parla con protestanti, ortodossi ed ebrei. Il suo amore per quella che lui chiama “la mia Chiesa, la mia Chiesa” si manifesta in diversi appelli che rivolge a prelati e sacerdoti chiedendo a tutti un radicale rinnovamento di vita, un ritorno vigoroso alla “apostolica vivendi forma”. È proverbiale la sua venerazione per la Vergine: “Amate, amate, amate Maria”, ripeteva spesso sollecitando i figliocci spirituali a “vivere” e a “respirare” Maria. Poco prima di salire alla casa del Padre – nel 1954 – compie un ultimo gesto di carità offrendo la sua vita al Signore per Papa Pio XII, agonizzante. Mentre lui muore il Pontefice, misteriosamente e improvvisamente, torna in salute vivendo per altri quattro anni. Il Beato Cardinale Schuster gli rende omaggio facendo scolpire sulla sua tomba un epitaffio che celebra le doti di questo umile ed esemplare sacerdote: “Rifulse quale faro luminoso nella Chiesa di Dio”.