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Usa vs Cina, la sfida per il soft power del dopo-Covid

Washington e Pechino, due volti della crisi sanitaria e i rispettivi ruoli nella geopolitica del futuro. Il punto del professor Raffaele Marchetti, docente dell'Università Luiss

Siamo certamente in un momento di grande tensione fra Stati Uniti e Cina, e questa crisi sta accentuando ancora di più questa situazione fra le due grandi potenze. Lo vediamo nelle accuse che Trump rivolge quotidianamente a Pechino, lo vediamo nella politica degli aiuti umanitari, “politici” soprattutto, e anche nel tipo di relazioni che si stanno instaurando, da parte di Cina e Stati Uniti, con i Paesi terzi. Se questa crisi possa cambiare la situazione è presto per dirlo. Dipenderà da chi vincerà questa sfida, e questo sarà dovuto sostanzialmente a due fattori. Uno sanitario e l’altro economico, cioè dal sistema che dimostrerà nei fatti di essere più “performante”. Il sistema che sarà in grado di ripartire economicamente in modo più veloce, quello che riuscirà di risolvere il problema epidemiologico più rapidamente, sarà quello che verrà percepito come il migliore. Questo avrà un impatto, magari non determinante, ma certamente molto importante in termini di soft power.

Quale sarà il Paese che sarà meglio attrezzato a questa sfida è troppo presto per dirlo. La Cina, tutto sommato, sembra essere uscita dalla questione sanitaria, anche se poi ci sono delle ricadute. L’assetto economico sembra in ripartenza, anche se persistono dei problemi importanti. Peraltro, agli occhi di una certa parte della Comunità internazionale, Stati Uniti inclusi, la Cina rimane la Nazione incriminata, per non aver avvertito in tempo e non aver gestito al meglio la crisi. D’altra parte, ci sono gli Stati Uniti che sono, per ora, il Paese con il maggior numero di morti e che sembra essere in grande affanno per gestire la crisi da un punto di vista sanitario. Un Paese che oggi è in una crisi economica molto seria, più di venti milioni di disoccupati, cosa che non era mai successa negli ultimi decenni, se non nell’ultimo secolo.

Se gli Usa, nel giro di un paio di mesi, riuscissero a sconfiggere la malattia, ripartire economicamente, ad aiutare gli altri Paesi e, magari, sviluppare loro il vaccino, primi nel mondo, è chiaro che questo capitalizzerebbe il loro successo. Ma è difficile dire, oggi, come andrà a finire. Se le cose andassero in un certo senso, ci sarebbe sicuramente un impatto sulla politica internazionale. L’incognita maggiore, a mio parere, sono gli Stati Uniti. Non sappiamo quanto saranno in grado di gestire la situazione da un punto di vista sia sanitario che economico, perché non sono un Paese abituati a gestire una disoccupazione così alta, anche in termini sociali.

Sul piano delle sanzioni, invece, dubito vi sia un cambio di rotta. Potrebbero essere temporaneamente alleggerite se la situazione in Iran dovesse peggiorare o se la crisi in Russia dovesse peggiorare in modo repentino e netto. Altrimenti le sanzioni rimarranno. In genere vengono tolte se si raggiungono degli obiettivi. In questo caso parliamo della questione ucraina e del nucleare: se non vengono raggiunti, è difficile che vengano tolte.

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