Sei ore di discussione e una soluzione che è di fatto una via di mezzo. Il Consiglio europeo impiega diverso tempo a discutere, in rigorosa teleconferenza, per cercare di tracciare la linea più indicata per fronteggiare con misure europee un’emergenza su scala mondiale. La bozza iniziale non aveva convinto nessuno dei due Paesi più vessati dall’emergenza, ovvero Italia e Spagna, contrari alle disposizioni discusse fin lì nonostante le concessioni ottenute corrispondenti a quelle richieste. Il dissenso era stato in primi del premier Giuseppe Conte: “Come si può pensare che siano adeguati a questo choc simmetrico strumenti elaborati in passato, costruiti per intervenire in caso di choc asimmetrici e tensioni finanziarie riguardanti singoli Paesi?”.
Il pressing
Al termine delle sei ore, però, qualcosa sembra muoversi: nel documento finale, come richiesto, non si parla di Mes e si auspicano proposte a lungo termine, con la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, e il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, chiamati a presentare nelle prossime due settimane (quindi non dieci giorni, come invocato dall’Italia) una serie di proposte convincenti per arginare l’onda anomala. L’obiettivo è tenere “in considerazione la natura senza precedenti dello choc” e fornire una risposta “rafforzata, come necessario, con azioni ulteriori in modo inclusivo alla luce degli sviluppi, per finalizzare una risposta esauriente”.
La spaccatura
In sostanza, l’invito di Conte (e anche di Sanchez) è ad adottare strumenti paracadute di portata decisamente più congrua all’emergenza in atto, ragionando in termini comunitari piuttosto che Stato per Stato: “Se qualcuno dovesse pensare a meccanismi di protezione personalizzati elaborati in passato – aveva detto il premier italiano – allora voglio dirlo chiaro: non disturbatevi, ve lo potete tenere, perché l’Italia non ne ha bisogno”. Quanto ai “nuovi strumenti” ai quali si fa appello, il discorso vira sui cosiddetti Coronabond, proposta che vedeva contraria la Germania e gli altri Paesi nordici, caldeggiata invece da Francia, Spagna, Irlanda, Grecia, Portogallo, Lussemburgo, Slovenia e per l’appunto Italia. Tale titolo non verrebbe emesso dai 19 Paesi dell’Eurozona e Conte va in pressing spiegando che nessuno pensa a “una mutualizzazione del debito pubblico. Ciascun Paese risponde per il proprio debito pubblico e continuerà a risponderne… L’Italia ha le carte in regola con la finanza pubblica: il 2019 l’abbiamo chiuso con un rapporto deficit/Pil di 1,6 anziché 2,2 come programmato”. I prossimi 15 giorni saranno decisivi. Al momento, lo scenario è quello di una frattura fra nord e sud, come ai tempi del caos Grecia.