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“Aziende aperte senza motivo né precauzioni, ma la vita umana vale più del fatturato”. Così si aggira la chiusura

La testimonianza a Interris. di un ingegnere marchigiano che spiega come si continua a produrre nelle imprese non strategiche mentre la pandemia dilaga da nord a sud

Nella mia più che ventennale esperienza nell’industria ho avuto sempre una costante interlocuzione con il mondo sindacale e mai come in questa situazione di emergenza avverto l’opportunità di rilanciare le argomentazioni poste all’attenzione del governo dalle organizzazioni di rappresentanza dei lavoratori.

Incongruenze pericolose

In un paese normale, le regole, le disposizioni e le leggi non sono materia di interpretazione: dovrebbero essere scritte in maniera semplice e comprensibili per tutti. Il fatto che non siamo spesso credibili dipende molto da questo; non riusciamo a farci capire perché spesso è l’interpretazione a rivelarsi la regina delle incomprensioni. Prendiamo gli ultimi penosi sviluppi dell’emergenza Covid-19 e cioè il susseguirsi di decreti in cui si chiude più o meno finestre, porte e portoni di aziende considerate più o meno strategicamente necessarie o addirittura indispensabili. Tutto ciò ha creato un clima di incertezza che è lo specchio della nostra condizione attuale sotto il profilo politico e anche economico. L’interpretazione crea inon solo incertezza, ma anche disuguaglianza perché il furbo di turno troverà sempre il modo di aggirare un decreto o una legge. Posso testimoniare personalmente che in questa vicenda surreale delle chiusure a macchia di leopardo ci sono ad oggi aziende che in barba alle disposizioni di sicurezza sono ancora in produzione.

Ditte incomprensibilmente aperte

Nelle fabbriche si procede in ordine sparso, in un caos foriero di ulteriori danni al bene prioritario e non negoziabile della salute pubblica. Nelle ultime ore si sono rivolti per consiglio a me titolari di piccole e medie imprese manifatturiere che incomprensibilmente continuano a restare aperte, pur avendo due terzi del personale a casa con un certificato di malattia e, soprattutto, pur appartenendo a settori merceologici che nulla hanno a che vedere con le filierie utili in questa fase di allerta. A cosa serve proseguire la produzione in piccole ditte di componenti meccaniche e suppellettili quando le grandi multinazionali che acquistano la loro merce partecipano giiustamente alla serrata per senso di responsabilità e in ossequio alle norme a tutela della salute pubblica? Nessun fatturato vale la vita umana. Non si può giocare con l’incolumitò di operai messi a repentaglio per mille e duecento euro di stipendio mensile. Quali sono le aziende indispensabili? Se sono giustificabili quelle alimentari e farmaceutiche, meno comprensibili sono quelle alla voce “riparazione e manutenzione di veicoli spaziali” o produzione di “spaghi corde e funi”. Dove dovremmo andare? Su Marte quando non possiamo neanche oltrepassare il comune, o giocare al tiro alla fune, quando per lo più siamo richiusi in casa? Misteri ma che la dicono lunga su come siamo visti all’estero.

L’inganno

Il refrain “fatta la legge (o il decreto), trovato l’inganno” mai è stato così attuale in questo periodo angosciante di crisi sanitaria. La crisi sanitaria a detta di tanti politici è la prima da doversi affrontare ma poi, con stucchevole ipocrisia vengono emanati provvedimenti-farsa che, lasciando appositamente ampi margini di interpretazione sulla parte produttiva delle nostre aziende, rendono evidente che gli effetti economici sono prioritari rispetto a quelli sanitari. Un esempio che traggo dalla mia quotidianità. Come è possibile che aziende metalmeccaniche di supporto ai trasporti siano considerate “indispensabili” quando in questo periodo treni e viabilità sono ridotti al lumicino? Come è possibile che vengano ancora inviati in trasferta lavoratori in zone critiche per “improrogabili esigenze produttive “? Non esistono in loco, provider e strutture tecniche per le manutenzioni straordinarie? E soprattutto, perché non vengono effettuati controlli su queste aziende i cui dirigenti, dimostrando un senso di responsabilità collettiva pari a zero, stanno facendo di tutto per far dichiarare strategiche? Prima che si dichiarino “indispensabili” queste imprese perché non si fanno controlli? Perché non si verifica se i contesti produttici sono stati resi a norma anti-contagio? Si scoprirebbe che i soliti furbetti di turno, niente hanno fatto per mettersi in regola, non hanno misurato le distanze minime fra lavoratori, non hanno messo in sicurezza le aree comuni (bagni, spogliatoi e mense), senza parlare poi dei dispositivi di sicurezza e degli ipotetici controlli delle temperature del personale in ingresso. Nulla di tutto ciò. Una vergogna che per la cupidigia di denaro di questi furbetti verrà pagata in primo luogo dai lavoratori di queste imprese fuorilegge e consegientemente dalla comunità intera.

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