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La Croce e il sangue. Oggi si continua a morire per la propria fede

Lo scorso anno sono stati uccisi 29 missionari. Nella Giornata di preghiera e digiuno in memoria dei missionari martiri, a Interris.it la riflessione di Alessandro Monteduro (Aiuto alla Chiesa Che Soffre)

Era il 24 marzo del 1980 quando l’arcivescovo di San Salvador, monsignor Oscar Arnulfo Romero, venne freddato sull’altare mentre celebrava Messa. La sua immagine del sacrificio conforme a quello di Cristo si riverbera in tanti uomini e donne che nel mondo hanno perso la vita per aver scelto di seguire il Vangelo. Dal 1993, la Chiesa ha deciso di far memoria dei martiri e della testimonianza nella singolarità delle loro vite. È un quotidiano che ha il sapore del miracolo ma che non ci deve trarre in inganno, perché riguarda anche noi. La santità di vita non è un ideale destinato a pochi, ma un’occasione aperta a tutti.

Ordinazione di diaconi

Martiri ancora

Si pensa che la persecuzione e il martirio sia relegata a un’era paleocristiana. Eppure, a differenza del passato, oggi la persecuzione è più cruenta rispetto a 2000 anni fa. Ci sono tante aree del mondo dove esprimere la propria fede ha un conto molto salato. Secondo i dati raccolti da Fides, l’agenzia di stampa delle Pontificie Opere Missionarienel corso del 2019 sono stati uccisi nel mondo 29 missionari, per la maggior parte sacerdoti: 18 sacerdoti, 1 diacono permanente, 2 religiosi non sacerdoti, 2 suore, 6 laici. Dopo otto anni consecutivi in cui il numero più elevato di missionari uccisi era stato registrato in America, dal 2018 è l’Africa ad essere al primo posto di questa tragica classifica. Nel Continente, infatti, l’anno scorso sono stati uccisi 12 sacerdoti, 1 religioso, 1 religiosa, 1 laica. In America sono stati uccisi 6 sacerdoti, 1 diacono permanente, 1 religioso, 4 laici. In Asia è stata uccisa 1 laica. In Europa è stata uccisa 1 suora. Fides definisce quest’aspra cornice con il termine dil globalizzazione della violenzaInterris.it ha intervistato Alessandro Monteduro, direttore di Aiuto alla Chiesa Che Soffre.

Direttore, perché oggi bisogna fare memoria dei martiri?
“Perché oggi la persecuzione è più cruenta di quanto non lo fosse duemila anni or sono. Oggi, per giunta, si manifesta in modo cruento. Basti pensare a tante aree del mondo dove non si può possedere una Bibbia, o pregare liberamente, in cui la persecuzione si trasforma in ferocia terroristica. Questo avviene in Eritrea, Nigeria, Corea del Nord o Pakistan, per annoverare solo alcuni Paesi. Ma ve ne sono tanti altri dove milioni di cristiani sono oppressi e perseguitati. È importante oggi celebrare il ricordo di chi ha dato la vita fino alla profusione del sangue in nome della propria fede”.

Ricorda un martirio recente?
“I martiri di oggi sono quei nostri fratelli della fede che il 21 aprile 2019 serenamente si erano recati presso la propria parrocchia per celebrare la Resurrezione e improvvisamente nel momento della preghiera si sono visti assassinati da un terrorista. Martiri sono dunque tutti coloro che danno la vita in nome della fede, ma sono anche coloro i quali non indietreggiano dalla stessa fede. Oggi in tante aree del mondo, andare in chiesa non è una testimonianza di fede, ma di eroismo”.

Celebrazione della Messa nella Chiesa dell’Immacolata sottratta dal sedicente stato islamico a Qaraqosh, vicino Mosul, Iraq, 30 ottobre 2016 – Foto © Ahmed Jadallah per Reuters

Si può parlare di persecuzione anche in Occidente?
“Papa Francesco è stato chiaro. In Europa ch’è una persecuzione coi guanti bianchi, ammantata di politically correct. Probabilmente non è feroce, ma a lungo andare ha una matrice chiara: l’odio alla fede, alla religione. Questa persecuzione, scaturita dalla secolarizzazione, può essere tanto materiale quanto ideale. La materialità è negli attacchi, in modo particolare in Francia, in luoghi simboli della fede, come i cimiteri. Ma c’è un altro tipo di persecuzione: il modo attraverso il quale si vuole relegare alla politica di un Paese chi rivendica la propria fede. Quando in Italia si introdussero i registri delle ‘coppie di fatto’ ci fu una controversia normativa e giudiziaria sull’effettiva competenza dei Municipi. E quando un collegio giudicante della Cassazione si espresse in maniera contraria, dei movimenti laicisti che erano per la tutela e l’egualizzazione delle coppie di fatto, intentarono la ricusazione di uno dei componenti perché costui aveva rivendicato la sua appartenenza alla fede cattolica”.

E qui andiamo al simbolo. Esso è ancora importante, se in varie parti del mondo è minacciato?
“I simboli sono parte del problema. Chi sostiene questi processi di globalizzazione e snaturamento delle nostre radici, non può accettare che ci si sacrifica nel nome del proprio Crocifisso. Questo è una parte del problema. Poi c’è l’altra parte dove il fondamentalismo che ispira i gruppi estremisti ha come fine l’affermazione solo della propria fede e quando c’è un oggetto identitario che esprime la propria fede, esso va rimosso. Non è un caso che quando Daesh invase l’Iraq, volle eliminare ogni simbolo. Davanti al Crocifisso c’è un senso di quell’appartenenza comunitaria. Quando i Cristiani iracheni tornarono a Ninive, il primo gesto che compirono fu rialzare il Crocifisso dal pavimento della loro Chiesa”.

In questi momenti di emergenza sanitaria, vediamo tanti operatori sanitari impegnati all’assistenza dei malati anche a costo della loro vita. Possono essere considerati martiri?
“Parlerei di gesti di eroismo, che rendono onore a quelle professioni. Pensando a quei medici che curano le ferite del corpo, non dimentichiamoci dei medici che curano le ferite dell’anima. Oggi ne stiamo perdendo a decine. In alcuni Paesi costoro non solo curano l’anima, anche il corpo. Oggi vediamo le stesse categorie farsi carico della salute dei fedeli correndo dei rischi. La figura del medico e quella del sacerdote sono splendidi esempi di testimonianza di una fede vera, che è la loro adesione a quel giuramento”.

Crocifisso dentro la Chiesa Cattolica di New Orleans, Louisiana – Foto © Gerald Herbert per AP

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