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Suor Bonetti: “Avere la forza di gridare insieme ‘Mai più donne schiave’. Questo il vero valore dell’8marzo”

Intervista a suor eugenia Bonetti, missionaria della consolazione e presidente di "Slaves no more"

In questa giornata della donna, quello che io mi auguro davvero è che non si faccia sfoggio di fiori, belle frasi, cioccolatini, ma che si vada al nocciolo della questione, per riscoprire il valore vero di ogni donna, della sua bellezza e dimensione interiore, nel suo ruolo di mamma e nella società. Solo insieme avremo la forza di poter dire ‘mai più schiave’ e questo darà un vero valore alla festa dell’8 marzo”. Sono le parole di Suor Eugenia Bonetti, missionaria della Consolazione e presidente dell’Associazione “Slaves no more”, che da anni lotta per salvare le donne che cadono vittime dello sfruttamento sessuale e per chiedere al governo misure adeguate contro i trafficanti e per aggiornare le misure di protezione e reintegrazioni delle giovani vittime, nonché aiutare coloro che vogliono ritornare a casa in modo dignitoso. In occasione della festa della donna In Terris l’ha intervistata.

L’8 marzo è la Giornata internazionale della donna. Basta un rametto di mimosa per festeggiarla?
“Che illusione. Noi crediamo di risolvere tutto il problema dei rapporti uomo donna, società e donna, società e famiglia, con un rametto di mimosa. Forse sarebbe meglio, in questi mesi in cui ci sentiamo così minacciati anche dal coronavirus, volgere il nostro sguardo verso il prossimo, i meno fortunati, circondati dall’indifferenza, dalla solitudine. Allora questo potrebbe dare un senso alla festa della donna. Tra i più deboli troviamo proprio le giovani donne sulla strada costrette a prostituirsi, nude e indifese, ignorate da tutti. La giornata della donne deve aiutarci a cogliere queste situazioni di disagio, di sfruttamento e di umiliazione. A che serve fare sfoggio di mimose gialle se poi non ci rendiamo conto di chi la nostra società sta emarginando sui cigli delle strade. La società non considera più la donna per quello che, per la sua ricchezza interiore, la sua capacità di donarsi, di essere presenti, di portare nella famiglia e nella società un senso di familiarità, tenerezza, buon umore, gioia. La giornata della donna non è la celebrazione di un giorno ma dovrebbe diventare uno stile di vita”.

Lo Stato cosa potrebbe fare in più per valorizzare e tutelare le donne?
“Innanzitutto, dovrebbe dare una lettura femminile delle leggi e dei provvedimenti che vengono presi. Nelle nostre discussioni politiche, le donne dovrebbero essere ascoltate e proprio a loro dovrebbe essere data l’opportunità di assumere un ruolo attivo di spicco, non solo momentaneo, ma permanente. Le donne dovrebbero essere chiamate a partecipare al processo decisionale. Lo Stato dovrebbe garantire loro l’accesso al lavoro, vero e equo, dovrebbe mettere in campo servizi che agevolino le mamme. Dovrebbe rivedere le leggi esistenti per tutelare le tante, troppe, donne vittime di tratta. Di conseguenza dobbiamo capire lo sfruttamento che c’è dietro questo mercato. Dobbiamo lavorare molto di più, come istituzioni e governo, per togliere queste persone dall’anonimato. Noi, in un Paese civile e cristiano, come possiamo permettere questa visione così umiliante, terrificante, della donna che vediamo sui cigli delle nostre strade e per cui nessuno vuole fare qualche cosa di definitivo, di positivo, perché ci sono troppi guadagni dietro”.

In questo scenario, che ruolo dovrebbe avere la Chiesa?
“Dove non arriva lo Stato, noi come Chiesa, in modo particolare, dobbiamo contestarci di portare una mimosa o una scatola di cioccolatini a queste donne che sono sulle strade. Ma dobbiamo ricordarci che loro sono esseri umani, persone create a immagine di Dio e non per essere usate e ributtate sulla strada. La Chiesa dovrebbe dare sempre più spazio a questo argomento. Lo sfruttamento e la tratta a scopo di prostituzione schiavizzata non deve essere più un tabù, dobbiamo parlare delle tantissime vittime nei luoghi fisici e virtuali. Dobbiamo avere il coraggio di parlare nelle scuole, dare una formazione reale, concreta, umana ai nostri giovani, che parta dal rispetto, all’accoglienza, fino all’amore vero che non ha limiti e confini e guadagni. Serve una società più umana, più attenta ai bisogni degli altri, e non dedita all’umiliazione dell”usa e getta’. Noi dobbiamo poter gridare ‘mai più schiave’, nella società del benessere e basata su valori cristiani. In un convegno mi sono permessa di dire che il 90% dei clienti sono battezzati, non praticanti, ma battezzati. C’è una grande responsabilità nel capire e far capire agli altri, come molto bene diceva don Oreste Benzi, che nessuna persona è nata prostituta, ma c’è sempre qualcuno che ce l’ha fatta diventare”.

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